Nelle sale italiane in questi giorni, diciassette anni dopo la sua uscita. Con il successo di Parasite, anche l’Italia celebra il genio di Bong Joon-ho.
Si chiama Memorie di un assassino ed è la seconda opera di Bong Joon-ho, premiatissimo regista di Parasite, film coreano che ha vinto quattro statuette agli Oscar 2020. Realizzata nel 2003, la pellicola racconta la caccia ad un killer spietato in una Corea del Sud segnata da sommosse e violenze.
Dai film di Bong Joon-ho si percepisce molto della storia sudcoreana, di una società complessa sempre sullo sfondo delle vicende raccontate dal regista. E dobbiamo ringraziare l’Academy se finalmente questo capolavoro è arrivato anche nelle nostre sale. I premi a Parasite hanno infatti riacceso l’attenzione sull’autore coreano e, speriamo, sul cinema asiatico in genere. Solo dalla Corea del Sud sono infatti arrivati negli anni film di diversi ottimi registi, da Kim Ki-duk a Park Chan-wook, Lee Chang-dong, Na Hong-jin, Kim Jee-woon. Le pellicole più famose, Oldboy e Pietà per citarne alcune, hanno raggiunto festival e rassegne, purtroppo non sempre arrivando al grande pubblico come meriterebbero.
Una scena di Memorie di un assassino
Memorie di un assassino – la trama ed i personaggi del film
Girato diciassette anni fa, la storia di Memorie di un assassino in realtà si svolge nel 1989, un periodo turbolento e grigio per la Corea del Sud. Questo panorama fa da sfondo ad un’indagine per trovare il colpevole di una serie di crudi omicidi, vittime giovani donne, che si susseguono nell’arco di qualche mese a Hwaseong. La pellicola ricostruisce un vero episodio di cronaca che ha spaventato il Paese quando Bong Joon-ho aveva appena vent’anni. Per ricordare quegli avvenimenti, il regista ha immaginato di seguire quattro poliziotti, tre di provincia – un commissario frustrato, due investigatori violenti e grossolani – ed uno di Seul, arrivato sul luogo dei delitti proprio per scoprire l’identità del killer. I personaggi sono stereotipati ma non semplici, e per questo appaiono divertenti, a volte buffi, a volte spaventosi. La parte più complessa, che infatti apre e chiude il film, è quella di Song Kang-ho, che ha recitato in tutti i lavori successivi del regista. Il suo poliziotto è combattuto, cialtrone e professionale allo stesso tempo. Osserva la violenza, la induce, ma non la mette mai in atto in prima persona. È disinteressato e profondamente appassionato, sempre concentrato sugli sguardi. Dall’altra parte, una serie di indiziati che rappresentano, ognuno a modo suo, i problemi del Paese. Emarginati, poveri, malati, giovani depressi, tutti tesi verso comportamenti maniacali e controversi.
Una scena di Memorie di un assassino
L’epilogo – quello che ci lascia Bong Joon-ho
Alla fine il colpevole passa in secondo piano. Il dipinto è quello di una società che soffre, si diverte, ascolta musica e guarda le belle ragazze, tollera la violenza, la disuguaglianza, la compromissione. Esattamente come in Parasite. E nel mezzo di questo spaccato, violentissimo, il personaggio a cui viene dato il compito di chiudere Memorie di un assassino, dopo aver cambiato vita, torna nei luoghi degli omicidi e finalmente capisce. E restituisce al pubblico una spaventosa realtà: chi aveva ucciso era “una faccia comune”. Un film a cui si pensa e si ripensa, perfetto, umano.