El Camino – Il film di Breaking Bad è la prova che a volte bisogna sapere quando fermarsi, anche se ci si sente in dovere di chiudere il cerchio
“Ho sempre voluto una El Camino“. Così Charles Baker, alias Skinny Pete, saluta per l’ultima volta l’amico Jesse Pinkman prima che questo tenti la sua disperata fuga in Alaska. Un ultimo saluto che i fan non pensavano si sarebbe mai verificato, soprattutto perché Vince Gilligan, regista e sceneggiatore di quel capolavoro che è Breaking Bad, aveva dichiarato più volte di aver concluso la storia del duo con l’ultimo episodio della serie, andato in onda nell’ormai lontano 2013.
El Camino vuole chiudere il cerchio scrivendo la parola “Fine” sulla storia di Jesse, così come Breaking Bad e Better Call Saul l’hanno fatto ( o lo stanno facendo) su quelle di Walter White e Saul Goodman. El Camino è la liberazione del suo protagonista, è l’auto che sfonda i cancelli che per così a lungo l’hanno tenuto imprigionato e che gli dona una seconda occasione, ma è anche, allo stesso modo, un inaspettato e rischioso salto nel vuoto.
A conti fatti, il film sequel di Breaking Bad riesce a compierlo questo salto, confezionando più di due ore di intrattenimento a tratti tediose ma pur sempre positive. Come una buona portata che arriva dopo un pasto perfetto però, El Camino non riesce a soddisfare in tutti i suoi aspetti, e finisce per esprimere diverse mancanze soprattutto dal punto di vista della fotografia e della sceneggiatura. Da qui in avanti analizzeremo il film in tutti i suoi aspetti, quindi allerta spoiler.
El Camino riprende esattamente da dove si era interrotto Breaking Bad, ovvero dal momento in cui Jesse Pinkman rompe i cancelli che lo tenevano imprigionato al laboratorio di Jack ridendo istericamente. La pellicola mostra la fuga rocambolesca del protagonista, che si rifugia dai due amici Badger e Skinny Pete per sfuggire alla polizia e rimettersi in sesto. Sotto questo punto di vista, sarebbe un eufemismo dire che il film si prende il suo tempo.
El Camino è lento, quasi flemmatico, alla costante ricerca di un appiglio narrativo che sembra non trovare mai. Jesse Pinkman saluta gli amici e continua a scappare, e mentre il tempo scorre, non si ha mai la sensazione che il film stia dando qualcosa, che stia seguendo un obiettivo. Certo, il traguardo finale è rappresentato dalla fuga in Alaska, ma la sensazione è che Vince Gilligan si sia accorto troppo tardi di una mancanza di tensione, o meglio di un vero ostacolo per il protagonista.
Dopo circa 50 minuti entra quindi in gioco Neil Kandy, il nuovo “cattivo” ideato dallo sceneggiatore. Neil è forse l’espediente narrativo più debole di tutta la saga di Breaking Bad, un personaggio assolutamente privo di carisma che non sembra mai in grado di poter sostituire i vari Gus Fring, Todd Alquist o Jack Welker. Neil non ha il tempo di farsi odiare, né sembra rappresentare un vero pericolo per Jesse, ma il problema maggiore è sicuramente rappresentato dalla sua triste monocromaticità. La disputa tra i due si conclude con un duello in pure stile Western, efficace sul momento ma quasi imbarazzante se analizzato a mente fredda.
La linea narrativa di Jesse Pinkman si conclude così, con un viaggio in Alaska ottenuto grazie all’aiuto di Ed Galbraith, il socio di Saul Goodman in grado di regalare una nuova vita alle persone. El Camino si prende il suo tempo, impilando una serie di situazioni al limite del tedioso con altre più avvincenti, fino a raggiungere il tanto agognato quanto deducibile finale. Ma non è tutto qui.
Un altro dei problemi del film di Breaking Bad è la fotografia, composta da inquadrature semplici, poco ambiziose, a tratti quasi amatoriali. Dopo aver visto circa due ore di film, le uniche due inquadrature che rimangono impresse nella mente dello spettatore sono il duello tra Jesse e Neil e il panning del freddo panorama alascano, due scene comunque dimenticabili. Ci troviamo ben lontani dal livello della serie tv, che ancora oggi viene ricordata per via di alcune iconiche scene come quella in cui Walter White in mutande punta la pistola alla telecamera, quella in cui Walt e Jesse guardano la tv indossando la tuta da chimici o quella in cui il protagonista alza le mani dicendo “Mi hai beccato” al cognato Hank.
Quando non segue la linea temporale del presente, El Camino gioca con i flashback, un bel modo per rimettere in scena alcune vecchie glorie. Tralasciando l’unico momento veramente emozionante, ovvero quello in cui Jesse cede la pistola a Todd piangendo lacrime di disperazione, i flashback puntano sulla violenza gratuita o sui sopracitati cameo di alcuni attori. Il problema qui è che nessuno dei ricordi mostrati da Gilligan aggiunge nulla alla trama, esclusi quelli con protagonista Todd.
Bryan Cranston e Krysten Ritter tornano ad interpretare i loro vecchi ruoli per qualche minuto, ma i flashback sembrano essere presenti per lo più per questioni di fan service. Allo stesso modo Joe, il demolitore che avrebbe dovuto occuparsi di far sparire la vettura del protagonista, cita l’iconica frase “Magnets!”, cercando di far sorridere ma il pubblico ma ottenendo invece il risultato opposto.
El Camino è un film da fan per i fan, necessario solo nel caso in cui siate davvero in astinenza di Breaking Bad. La pellicola è sottotono, specie se paragonata alla generale qualità dei lavori di Vince Gilligan, ma riesce comunque a districarsi bene e non deludere completamente. Rimane tuttavia una domanda da porsi, a cui bisogna rispondere con assoluta sincerità: c’era davvero bisogno di questo film? Secondo noi, no.