Cinema

Mute – Recensione: L’effimera valenza delle parole

Mute, nuovo film di Duncan Jones, unisce un universo caotico alla Blade Runner con una storia personale, relegata ad uno stretto numero di individui. Andiamo alla scoperta del nuovo film distribuito da Netflix.

Dopo l’ottimo Altered Carbon, Netflix ci fa immergere ancora una volta in un futuro distopico. A guidarci, la sapiente e calibrata regia di Duncan Jones, artefice di una storia dal sapore intimista, completamente avversa all’universo nella quale viene raccontata.

Quando le parole non sono necessarie

La storia di Mute ricorda vagamente i noir di vecchio stampo. Un uomo affetto da mutismo è alla ricerca della sua amata, scomparsa improvvisamente. Seguendo indizi sparsi per tutta la città, si avventura nelle piovose strade di una Berlino futuristica per ritrovarla. Parallela alla sua storia c’è quella di un ex-soldato, un padre che sarebbe disposto a tutto pur di proteggere sua figlia. Storie private che si intrecciano. Si legano in un balletto di sguardi e rivelazioni che sconvolgono, attraggono ed emozionano. Complice una prova attoriale magistrale dei due attori protagonisti. Da un lato Alexander Skarsgård, il muto Leo, che, senza emettere neanche un suono, riesce a trasmettere perfettamente le sue intenzioni solo attraverso lo sguardo penetrante. Dall’altro Paul Rudd, volto di Cactus Bill, un padre che tiene sempre al suo fianco la piccola figlia, caratterizzato da scatti d’ira improvvisi misti ad affetto e spensieratezza. Due personaggi, questi, che creano un’ambivalente empatia. L’amicizia travagliata tra Cactus e il suo collega Duck (Justin Theroux) è una delle migliori trasposte su schermo da anni. Disposti a tutto pur di proteggersi a vicenda, inclini a distruggersi l’un l’altro pur di non perdere la via. Tutti elementi che creano una storia di abbandoni, sparizioni e ritrovamenti. Una storia tenera e pacata immersa in un mondo caotico e distruttivo.

Blade Runner insegna

Il fatto che il futuro, ormai, venga visto con lo stesso occhio di Ridley Scott ai tempi di Blade Runner non deve sorprendere. La maggior parte dei mondi che vediamo trasposti su schermo oggigiorno prendono libero spunto dal cinema del passatoBlade Runner è stato un punto di svolta. Da molti è considerato l’inizio del cinema postmoderno, per questo e altri motivi ciò che vediamo ultimamente nelle sale cinematografiche sembrano copie del cult del 1982. Questo punto di vista distopico crea un’atmosfera inquietante e pressante, oltre a fornire un ingente numero di possibilità per il regista. Non siamo ai livelli sperimentali di Altered Carbon, questo è certo, ma l’attenzione per la composizione e i contrasti che si vengono a creare con le luci al neon sostengono adeguatamente la fin troppo basilare regia. Il commento musicale crea contrasto, ma, allo stesso tempo, coerenza con la narrazione. Suoni delicati, quasi inconsistenti, si miscelano al mutismo di Leo e seguono il suo pensiero armoniosamente. La colonna sonora è la voce che parla allo spettatore e lo esorta ad entrare in questo mondo decadente.

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Mattia Pescitelli

Tenace adoratore del mezzo cinematografico, cerco sempre un punto di vista fotografico in tutto ciò che mi circonda. Videogiochi, serie televisive, pellicole cinematografiche. Nulla sfugge al mio imparziale giudizio.

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