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Achille Lauro, 1969: la RECENSIONE traccia per traccia

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Il rapper romano Achille Lauro mischia le carte in tavola con il suo nuovo album 1969, ecco l’analisi e il voto dell’ultimo lavoro dell’artista

Dopo le polemiche di Sanremo e i grandi traguardi conseguiti con il suo singolo “Rolls Royce”, Achille Lauro torna sulla scena con 1969: quinto album in studio dopo Immortale, Dio c’è, Ragazzi madre e il più recente Pour l’Amour.

Difficile non notare il passaggio dalle classiche sonorità rap/samba trap ad un più ampio connubio di generi, tra cui spiccano rock, punk e pop; riguardo questi cambiamenti e rispetto al nome dell’album Achille Lauro ha dichiarato:

“In 1969 ci sono contaminazioni con suoni degli anni Sessanta e Settanta, c’è la voglia di parlare a tutti e di abbracciare tante generazioni un po’ come è riuscito a fare Vasco. Nel 1969 sono successe tante cose, da Woodstock al primo uomo sulla Luna […] quindi il titolo rispecchia quello che stiamo inseguendo: la voglia di fare, di essere liberi e di portare il cambiamento”

L’album è composto da sole dieci tracce, di cui otto inedite. Il sound di 1969 varia tra il malinconico/nostalgico e il festoso/leggero, scegliendo di non costruire un percorso lineare per l’ascoltatore, ma piuttosto optando per un’alternanza tra i brani profondi e quelli più rock. L’album è stato interamente prodotto da Bass Doms.

 

Rolls Royce (2:53). La prima traccia dell’album è anche quella che nel bene o nel male ha creato il più forte impatto mediatico. Come è stato messo in chiaro dall’artista, Rolls Royce non è un inno alle droghe, al contrario di quello che avevano lasciato trasparire diversi programmi di informazione televisiva, bensì una canzone di denuncia sociale. Il pezzo è stato ispirato dalla famosa citazione di Marilyn Monroe: “Dicono che il denaro non faccia la felicità, ma se devo piangere preferisco farlo sul sedile di una Rolls Royce piuttosto che su quello di un vagone del metrò”, ed è su questo presupposto che si sviluppa il testo, ovvero sulla ricerca estenuante di uno status sociale migliore e dalla voglia di vivere felicemente e senza rimpianti. Non per caso questa prima traccia cita molti artisti morti giovani, come Amy Winehouse, Jim Morrison, Jimi Hendrix e la stessa Marilyn Monroe. Il sound prende una virata dal classico rap/trap di Achille L. e si muove su sonorità rock più marcate, a tal proposito la produzione di Bass Doms e di Frenetik&Orang3 accompagna meravigliosamente la voce dell’artista.

C’est la vie (3:13). C’est la vie è stata la traccia scelta dall’artista per accompagnare il lancio dell’album: il pezzo è stato reso disponibile in streaming su tutte le piattaforme dal 29 Marzo, ed ha ricevuto un videoclip il 4 Aprile. La seconda traccia dell’album presenta una visione cinica dell’amore, in cui Lauro scrive “Tu sei Lucifero vestita, sì, con orli e perle/tu ti incateni in mezzo al fuoco e dici vienimi a prendere“, cercando così di raccontare con il suo stato d’animo quella sensazione di impotenza e accettazione che si prova durante la fine di una relazione. Questa accettazione viene rimarcata anche nel bridge (pre ritornello) in maniera più chiara “Capisci, so che puoi farlo, finiscimi/aspetto la fine, tradiscimi/poi dimmi è finita, zittiscimi“. C’est la vie si trova agli antipodi da Rolls Royce: il pezzo funziona e il ritornello crea facilmente dipendenza, ma avremmo preferito sentirla più avanti nell’album, al termine di un percorso d’ascolto più coerente e ponderato.

Cadillac (2:33). Cadillac è il pezzo più breve dell’album e riprende il mood di Rolls Royce. In appena due minuti e mezzo Lauro mette sul piatto un pezzo punk/rock su una base grezza di Boss Doms composta da chitarra e batteria, sopra la quale il rapper romano urla alla frivolezza delle necessità contemporanee. Cadillac è un inno alle marche, al Rock&Roll e alla spensieratezza, una canzone pensata per scatenarsi e divertirsi, più che per trattare temi delicati come fatto nelle prime due tracce.

Je t’aime (feat. Coez) (3:30). Je t’aime è una delle tracce più riuscite dall’album. Il pezzo inizia con la strofa di Coez, che non viene fortunatamente rilegato al solo ritornello, mentre racconta l’inizio di un giro del mondo; successivamente i due artisti si dividono il ritornello, prima di concludere con la strofa di Achille. La traccia cita piano piano tutte le grandi mete e le grandi città, a partire da Wall Street e proseguendo con Palm Springs, Shibuya, Tokyo, Piccadilly, Hollywood, Central Park, Las Vegas e molte altre. La necessità di una pausa, la fine di una storia d’amore e un lungo viaggio, tutti i temi cantati nella traccia numero quattro si amalgamano e suonano splendidamente insieme, rendendo Je t’aime uno dei punti più alti di 1969.

Zucchero (3:06). La traccia numero cinque trasmette una malinconia di fondo, continuando il percorso iniziato da C’est la vie e settando nuovamente quel discontinuo mood conscious che permea una buona metà dell’album. Questa vita è zucchero per Achille, che nella traccia inizia elencando le sue necessità “Noi su divani rossi, una rosa petali di soldi/voglio entrare, sì, e sti stronzi stendano il tappeto” per poi raccontare i suoi problemi “Ho avuto crisi di nervi, crisi d’affetto/conosco un passaggio segreto, porta all’inferno/tutto il resto è noia, tutto è niente in eterno“. Zucchero vede la dolcezza della vita nelle necessità (anche frivole), come una Ferrari o una Cabrio, ma non rinuncia a raccontare i problemi che si nascondono dietro i soldi, riuscendo ad arrivare con forza all’ascoltatore e risultando nel contempo piacevole nel sound.

1969 (3:30). La titletrack apre la seconda parte dell’album, tornando sul tema di fondo del lavoro dell’artista. Il pezzo si apre con un’interessante citazione “È il 20 luglio del ’69/Sì sono fuori, sì, sì, sto sulla luna“, il 20 Luglio è per l’appunto il giorno in cui l’Apollo 11 fece il suo sbarco sulla Luna, e viene utilizzato come metro di paragone dall’artista per descrivere il suo incredibile momento. La rivincita di Lauro è raccontata nel proseguo del testo, dove scrive “Ricompro la casa che ci hanno tolto/Perché non avevi soldi, a ma’“, spiegando che tutte le sue fatiche stanno ripagando quello che sua madre fece per lui da piccolo, quando arrivò addirittura a pignorare beni della propria casa per garantire un futuro alla famiglia. 1969 è la rivincita di Lauro, il brano torna a essere gioioso e leggero, merito soprattutto di una grande produzione di Bass Doms.

Roma (feat. Simon P) (2:43). Roma è, come facilmente intuibile dal titolo, un ringraziamento alla città d’origine del cantante. Non per nulla il featuring scelto per la traccia vede come protagonista il rapper romano Simon P, che fa un buon lavoro nella mediazione verso un ritorno al puro e semplice rap che ha dato il via alla carriera di Lauro. Roma è cantata per buona parte in dialetto romanesco, è una traccia scura, notturna, che alza anche il livello culturale dell’album grazie a citazioni di spessore; la traccia rischia di non arrivare completamente se non si provano gli stessi sentimenti verso la capitale d’Italia, ma il ritorno al rap lascia sicuramente un segno piacevole nell’ascoltatore, soprattutto verso chi segue l’artista dai suoi inizi.

Sexy Ugly (2:57). Il maggior problema di Sexy Ugly è che sembra non trovare propriamente un posto nell’album. La traccia numero otto è impostata come una sorta di catalogazione, ed è rappata con una metrica che ricorda tremendamente “Parole Chiave” di Marracash. Se da una parte però Parole Chiave fa un intelligente uso di questo tipo di cantato, creando ossimori e collegamenti e lanciando un messaggio, Sexy Ugly sembra non arrivare nemmeno analizzando il testo tra le righe, visto che il punto della canzone viene sicuramente esposto meglio in Rolls Royce e Cadillac.

Delinquente (2:36). Delinquente è una traccia esplicita, in cui Achille Lauro parla del suo atteggiamento. Uno dei punti che fu più criticato al cantante durante le sue prime apparizioni al grande pubblico (pensiamo a Sanremo) fu senz’altro l’aspetto: camicia sbottonata, tatuaggi sul volto e attitudine sfacciata. In delinquente il rapper descrive se stesso, le sue influenze e il suo modo di fare: “Bomber black/stivaletto/domenica a messa/sigaretta“, alla fine però, la penultima traccia risulta forse una delle più dimenticabili dell’album.

Scusa (3:27). Scusa conclude il disco, cucendo un ottimo testo su una base introspettiva. La canzone parla della morte, tema già trattato all’inizio del disco, e lo fa con una forte frase d’apertura “Se fosse il turno mio stanotte dirò ‘giusto’ “: in questa riga Achille sembra ritenersi meritevole della sua fine, nel caso in cui questa arrivasse da giovane come per molti altri artisti.  Il testo prosegue sul tema dell’accettazione, ma non senza rammarico: sempre nella prima strofa l’artista scrive “E il vento porterà via tutto come se/come se non fosse esistito mai niente” quasi a non capacitarsi di come tutto il suo lavoro potrebbe disperdersi e scomparire nel caso morisse, rendendo vano tutto il suo percorso. Scusa è un bel modo di chiudere il disco, tornando a calcare suoni più impegnati e malinconici e ricordando per l’ultima volta l’importanza della vita e l’ignoranza nei confronti della morte.

Giudizio Finale: 1969 è un passo in avanti importante per Achille Lauro: è un album che non rinuncia a trattare tematiche importanti ma che vuole fortemente compiere un passo in avanti verso il mainstream. L’album non offre un percorso musicale preciso, ma piuttosto lancia nel calderone dieci tracce e cerca di creare emozioni diverse con ognuna di loro; sette dei dieci pezzi funzionano meglio, regalano mezzora di buona musica e aiutano a confezionare un prodotto discografico originale e ambizioso, seppur non esente da difetti.

Voto finale:

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