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Musica

Jonathan Dworkin della Universal avverte: “La musica non può ridursi a esperienza interlocutoria”

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L’industria discografica è fuori dalla crisi che l’ha colpita negli ultimi anni? A dire la sua è Jonathan Dworkin, vice direttore presso la Universal Music

L’industria discografica, dopo anni di crisi nera, sta finalmente facendo registrare dei risultati positivi. Tuttavia, Jonathan Dworkin ha invitato tutti a stare bene all’erta e  a tenere  i piedi ben piantati per terra nei confronti di un risultato che potrebbe non aver pienamente portato il settore fuori dalle difficoltà.

Jonathan Dworkin

Per Jonathan Dworkin, della Universal Music (è il vice direttore del reparto strategie musicali del gruppo), il rischio di banalizzare le produzioni musicali è altissimo. La tecnologia ha aiutato tantissimo la diffusione della musica, che oggi può veramente essere a portata di chiunque anche grazie alle numerose applicazioni che sono nate. Non solo la fisicità del disco, dunque, come in passato: anche musica scaricabile e condivisibile virtualmente.

A New York, Jonathan Dworkin è intervenuto alla conferenza NY:LON Connect, e ha puntato la sua attenzione sulla tecnologia, che da sola non basta a compiere il miracolo musicale, e soprattutto sull’approccio che hanno specialmente le nuove generazioni nei confronti della musica. Secondo Jonathan Dworkin il nostro è un mondo in cui ormai si tende ad abbassare il livello, ed in questo caso si parla del livello di ascolto della musica che è divenuto sempre più distratto nel corso del tempo. Spesso, la musica riempie degli intermezzi di vita senza essere davvero sentita e compresa. Jonathan Dworkin teme proprio questo: che la musica sia diventata un’esperienza capillare, ma così capillare da aver saturato ogni azione umana. Si ascolta musica forse più per abitudine che per reale nutrimento interiore, insomma?

Ecco uno stralcio delle dichiarazioni rilasciate di Jonathan Dworkin: “Sono un ottimista, e mai come oggi stiamo assistendo a un consumo di musica così diffuso. Ma c’è una cosa che davvero mi preoccupa: questa estrema facilità di accesso, unita allo strapotere degli algoritmi e all’eccesso di contenuti rischia di fare diventare la musica un’esperienza interlocutoria. Oggi si guida e si ascolta la musica, così come in spiaggia o in palestra: ho paura che gli ascoltatori si concentrino sempre meno sulla profondità dell’esperienza di ascolto. (…) Credo che sia venuto il momento di introdurre una qualche innovazione che porti le persone ad ascoltare più in profondità”.

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