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Doctor Who 11×01: Recensione – La paura della novità

L’abbiamo attesa. L’abbiamo desiderata. L’abbiamo temuta. La martellante ed efficace promozione della BBC ha fatto letteralmente del suo meglio per presentarci questa nuova era di Doctor Who ma le prime impressioni, le speranze e i dubbi raggiungevano sempre un limite invalicabile. Adesso possiamo parlarne, adesso la première si è mostrata nella sua totalità, adesso Doctor Who è davvero tornato … ed è così nuovo che fa paura.

Charmed (Streghe), Buffy The Vampire Slayer, Roswell, Magnum P.I., eravamo così impegnati a tener traccia dell’ondata di discutibili reboot che stanno travolgendo il palcoscenico seriale televisivo, la nostra quotidianità e anche i nostri ricordi che non abbiamo visto arrivare quello più evidente, radicale e rivoluzionario che si sviluppava proprio davanti ai nostri occhi e che si presentava come l’undicesima stagione di Doctor Who.

È questa l’atmosfera che si respira nella tanto attesa première “The woman who fell to Earth”, un’atmosfera che in fondo si intuiva nelle parole delle parti coinvolte, nelle prime scene, innegabilmente nelle scelte alla base del concept stesso di questa nuova era di Doctor Who e negli abbandoni precedenti che hanno simboleggiato una sorta di chiusura definitiva per la serie.

Certo, fondamentalmente ogni nuovo inizio rappresenta per Doctor Who una sorta di reboot, è successo con il suo grande ritorno nel 2005 con Russell T Davis, Christopher Eccleston e Billie Piper, si è ripetuto con l’avvento dell’era di Steven Moffat con Matt Smith e Karen Gillan, ma c’era sempre qualcosa di “antico” in quelle storie di Doctor Who, c’era il sapore di un passato forse anche un po’ riservato a un pubblico specifico e di nicchia, c’era quel dettaglio che poteva sfuggirti se ignoravi tutto ciò che era venuto prima ma non c’era un senso di esclusione in questo, più una sorta di reverenziale rispetto verso un’idea nata in un’epoca piuttosto distante ma che aveva ancora tanto da dire, perché “non verrà mai un tempo in cui non ci sarà bisogno di un eroe come il Dottore” [cit. Steven Moffat].

Ma “The woman who fell to Earth” ha reso particolarmente evidente l’intenzione di rinnovarsi completamente, di mettere forse solo un po’ da parte l’imponente passato, per presentarsi nuovamente e questa volta anche a coloro che non hanno mai avuto la fortuna di far entrare Doctor Who nella loro vita. L’obiettivo di questa nuova era è chiaro e non è affatto sbagliato ma il Dottore ha ragione, ciò che è nuovo può far paura, perché non c’è nulla di più confortante e rassicurante di una meravigliosa abitudine. Però sappiamo anche cosa si dice della paura, vero? È un superpotere e ci rende tutti compagni, la paura ci riporta a casa ed è lì che siamo tornati con la première dell’undicesima stagione di Doctor Who.

Perché per quanto diverso, nuovo e intimidatorio abbia personalmente avvertito questo nuovo avvento di Doctor Who, si può ancora sentire con insistenza quel brivido di entusiasmo ed eccitazione che ti pervade quando il Dottore torna nella nostra vita e si rivela finalmente davanti a noi in tutto il suo eterno, eccentrico, caleidoscopico eroismo.

The woman who fell to Earth” è stata a tutti gli effetti la première che Doctor Who merita, il nuovo inizio che questa serie doveva portare in scena, con una trama che regge la prolungata durata dell’episodio senza sbavature e senza eccessi, con una caratterizzazione introduttiva puntuale e particolarmente empatica, con un tacito rispetto di un modus operandi che non puoi ignorare e con uno spirito definito e indipendente che ti riempie e ti fa pensare: “Sì, Doctor Who è finalmente tornato”.



Doctor Who 11×01: “When people need help I never refuse

Sono principalmente due le impressioni sul Tredicesimo Dottore di Jodie Whittaker che durante la première dell’undicesima stagione di Doctor Who più mi hanno colpito: la sua totalizzante novità e la sua innocenza, due elementi a mio dire caratterizzanti ma soprattutto complementari perché è proprio quell’innocenza che più rende il Tredicesimo Dottore diverso da tutto ciò che è stato visto e vissuto in precedenza.

Se Nine era ancora preda della rabbia distruttiva conseguente all’ultima guerra del tempo, Ten pervaso da una determinazione che sapeva incutere timore quando voleva, Eleven elettrizzato da nostalgici rimpianti e Twelve era pronto ad affrontare i suoi demoni e a fare ammenda per le sue colpe, Thirteen “nasce” in questa première di Doctor Who con una luminosa purezza che raramente il Dottore ha mostrato a causa del peso di un passato così imponente e delle continue perdite che questo ha comportato nel tempo.

Se la fase post rigenerazione vissuta da Thirteen è brillante e anche piuttosto in linea con le precedenti mostrate in Doctor Who, caratterizzata da una straordinaria e irresistibile verve esilarante ed energetica, ciò che cambia essenzialmente in questa prima fase della nuova vita del Dottore è la sua attitudine nei confronti delle persone che la circondano e del mistero che si ritrova ad affrontare e risolvere. Thirteen si afferma come un Dottore inedito, che riparte da zero o quasi, consapevole e ricco di echi del passato ma niente di più di sottili e delicati riferimenti che però rischiano di passare quasi inosservati di fronte a un nuovo atteggiamento che si distacca da ogni paragone.

La première dell’undicesima stagione di Doctor Who mostra un Dottore particolarmente pronto all’azione [un cambiamento non indifferente se pensiamo che Ten ha passato buona parte del suo primo episodio addormentato e risvegliato solo dal tè di Jackie], piena di vita, che a volte inevitabilmente risente dell’eccesso di stranezze che la fase post rigenerazione comporta ma che ha anche una personalità ben definita e che trasmette un senso di innocenza inaspettato.

Diversamente dalla relativa introversione delle precedenti incarnazioni del Dottore che l’epoca moderna di Doctor Who ci ha mostrato finora, incarnazioni che bramavano la compagnia ma non avevano sempre il coraggio di richiederla apertamente, Thirteen si rapporta alla realtà che la circonda con entusiasmo e gentilezza, con sfacciata intenzione di vivere il suo primo mistero in gruppo, con l’evidente volontà di non restare sola ma di essere parte di un team, chissà, forse un’istintiva conseguenza della solitudine avvertita da Twelve nei suoi ultimi momenti.

Jodie Whittaker e Tosin Cole in una scena della première di Doctor Who

Qualunque sia la ragione, la première di Doctor Who ci mostra un Dottore immediatamente compassionevole [conforta Ryan e attende invano con lui l’arrivo di suo padre], teneramente attratta dalla semplicità della quotidianità che si ritrova a vivere [rimane delusa dal rifiuto di Yasmin di accendere le sirene dall’auto pattuglia], travolta da una loquacità pari solo alla sua ritrovata passione ingegneristica e meccanica [il processo di costruzione del cacciavite sonico è inaspettato ma Jodie Whittaker lo rende talmente personale, innovativo e spassoso da dissipare i miei dubbi e l’evidente paradosso che la situazione comporta, pensateci, “costruire un cacciavite”, è un circolo vizioso].

Il momento in cui il Tredicesimo Dottore si afferma con sicurezza nella sua identità dopo la confusione e lo smarrimento iniziali è senza ombra di dubbio uno dei migliori di questa première di Doctor Who perché racchiude in sé forse per la prima e unica volta, la storia di questa serie iconica, l’importanza di un eroe insolito che “fa quello che può” e non rifiuta mai una richiesta d’aiuto, lo sguardo di un viaggiatore che contrariamente alla sua natura non vede differenze e trova la speciale unicità anche nelle persone più ordinarie.

Thirteen vive con entusiasmo, corre senza meta, parla senza sosta, spiega tutto ciò che vede, pensa e prova (forse troppo?), costruisce e ricorda ma va avanti e ricomincia con la consapevolezza di non volerlo fare da sola. Ed è esattamente tutto ciò che potevamo chiedere a nuovo Dottore e a una nuova era di Doctor Who, indipendentemente dal genere del suo protagonista.

Doctor Who 11×01: “Right, then, troops, team, gang, fam?

Uno degli aspetti più impeccabili di questa première di Doctor Who è rappresentato dal nuovo team di Companion, quattro in questo primo episodio ma purtroppo tre nelle prossime avventure, personaggi che già ora si sono imposti nelle dinamiche della storia con fondamentale parità nei confronti del Dottore, condividendo con lei tempi e spazi suddivisi con equilibrata equità.

La particolarità della loro caratterizzazione iniziale sta nei rapporti che già uniscono tutti i protagonisti, seppure in maniera non del tutto approfondita ma già piuttosto intensa, un’intensità che la vita nel TARDIS potrà solo sviluppare. L’amicizia d’infanzia tra Ryan e Yaz e il legame familiare debole e problematico tra Graham e Ryan sono aspetti relazionali che l’undicesima stagione di Doctor Who introduce in questa première con tutti gli spunti necessari per donare ai personaggi uno spessore di partenza ma che soprattutto impostano già un percorso umano la cui evoluzione impreziosirà le storyline future.

Personalmente, si è rivelato come une splendida sorpresa il personaggio di Ryan Sinclair, forse quello più sottovalutato sulla carta e che invece è il primo volto che incontriamo quando la première di Doctor Who prende avvio. Ryan è un ragazzo che a tratti condivide con il Dottore un’innocenza delicata che attraversa lo schermo e arriva senza troppi ostacoli all’emotività di chi guarda e inizia a conoscerlo.

Si tratta di un giovane uomo affetto da disprassia, un deficit neurologico che influenza il coordinamento motorio e che quindi gli rende particolarmente complicate attività che solitamente nell’infanzia sono quasi scontate, come imparare ad andare in bicicletta. Ma oltre una condizione fisica che inevitabilmente influisce sulla sua personalità un po’ introversa e solitaria, Ryan mostra in questa première di Doctor Who una sensibilità profonda che tante volte nasconde anche una rabbia silenziosa tenuta spesso sotto controllo grazie alla presenza di sua nonna Grace, una semplicità nella sua caratterizzazione che si arricchisce di modestia, di coraggio nell’ammettere i suoi sentimenti, di irresistibile sbadataggine che in realtà non dipende più dalla disprassia ma dalla sua personalità.

Dall’altra parte invece, Yasmin sembra ricalcare lievemente echi “oswaldiani”, presentandosi sulla scena di Doctor Who come una giovane donna decisa, ambiziosa, desiderosa di dimostrare il suo valore e di affermarsi nel suo servizio in polizia, fedele alle sue regole ma anche fortemente umana e dalla sensibilità forse non accentuata per il momento ma evidente. Del background di Yaz non ci è concesso sapere molto in questa fase preliminare di Doctor Who, ma l’assenza totale di riferimenti a una famiglia o a un gruppo di appartenenza fa presumere una particolare solitudine della ragazza che sembra ritrovare immediatamente in Ryan un volto amico e familiare. È proprio nei suoi riguardi che Yaz lascia trasparire la sua sensibilità, riservandogli uno sguardo privo di pregiudizi che non considera affatto la sua condizione fisica una debolezza.

Nei confronti di Thirteen, Yasmin cerca di assumere al principio un atteggiamento di pacata autorità ma già nel finale della première di Doctor Who in realtà si evince in lei un desiderio di conoscenza e una crescente curiosità scaturita forse proprio dalla stramba eccentricità della donna e dalle storie che i suoi occhi buoni nascondono.



Grace è personalmente il rimpianto maggiore di questo primo episodio dell’undicesima stagione di Doctor Who perché nonostante abbia preso parte solo alla première aveva presentato già tutti i caratteri che avrebbero fatto di lei la perfetta companion. L’umanità, l’entusiasmo, la voglia di vivere, l’accettazione di qualsiasi diversità, erano tutti lati di Grace che l’hanno resa un personaggio già compiuto e che sembrava quasi destinato alla vita nel TARDIS ma di cui purtroppo ha pagato anticipatamente le conseguenze.

La sua scomparsa pesa dunque inevitabilmente sulla personalità di già dimessa di Graham, una personalità gravata dalla malattia e dalla rassegnazione di una vita giunta ormai al termine e che invece si ritrova ora a dover vivere senza la donna che ama. Graham appare al momento forse il companion della nuova era di Doctor Who che più aveva bisogno del Dottore nella sua quotidianità, una quotidianità che deve reinventare per un futuro adesso tutto da scoprire.

Doctor Who 11×01: Le parole di Chris Chibnall

A primo impatto, la sceneggiatura di Chris Chibnall mi aveva lasciato particolarmente perplessa, forse proprio a causa di quella travolgente novità a tratti destabilizzante che si respira nella première di Doctor Who. Ma nel momento in cui guardi la sua scrittura nell’ottica del suo obiettivo principale, ossia raggiungere e accogliere nel mondo più grande all’interno che è Doctor Who anche tutti coloro che non si erano mai avvicinati alla serie, determinate scelte, condivisibili o meno, prendono senso.

La dettagliata spiegazione offerta da Thirteen della fase post rigenerazione o della variegata utilità del cacciavite sonico sono componenti della première dell’undicesima stagione di Doctor Who che inizialmente in realtà appaiono superflue, nessun Dottore ha avuto bisogno di descrivere questa fase perché in realtà bastava mostrare l’eccentrica confusione che caratterizza questo momento di transizione, ma solo in prospettiva le scelte di scrittura di Chibnall risultano sicuramente idonee alla missione del nuovo showrunner.

“We’re all capable of the most incredible change,
we can evolve while still staying true to who you are.
We can honour who we’ve been and choose who we want to be next”

Evidente appare anche la volontà di Chris Chibnall di trasmettere un messaggio attraverso la voce del Tredicesimo Dottore, una voce che inneggia alla positività del cambiamento, dell’accettazione, del progresso, una voce che non intende dimenticare il passato [il sorriso di Thirteen di fronte al cucchiaio non passa inosservato] ma che si propone di aprire un capitolo completamente diverso e in parte anche distaccato.

La sceneggiatura di Chris Chibnall si rivela comunque all’altezza, dell’intensità di una première di Doctor Who, della caratterizzazione precisa dei personaggi e anche dell’aspetto più divertente della storia, la gag relativa al nome dell’alieno “Tim Shaw” è stata probabilmente una delle caratteristiche più squisitamente whovian dell’episodio, che ha dimostrato almeno in questo momento l’idoneità di Chibnall alla guida di Doctor Who.

Doctor Who 11×01: Cinema e Musica

Jamie Childs inaugura alla regia l’undicesima stagione di Doctor Who e lo fa con una scena che abbraccia, come annunciato, una ripresa più ampia, parallela alla cinematografia, e dall’effetto sicuramente più coinvolgente, per quanto Rachel Talalay mantenga ancora, almeno da un punto di vista personale, il primato della direzione della serie.

Seppure mancante della sigla iniziale, la première dell’undicesima stagione di Doctor Who ha anche introdotto la nuova soundtrack di Segun Akinola, il cui theme principale lo si può ascoltare in parte nei titoli di coda e che forse rappresenta l’unico aspetto della serie che richiama apertamente la serie classica e che potrebbe rivelarsi uno dei theme migliori dell’epoca moderna della serie.

La première dell’undicesima stagione di Doctor Who né delude né rispetta le aspettative ma le supera in entrambi casi affermandosi nella sua unica e originale diversità. Un unico appunto: non dimentichiamo il passato, mai, ci rende chi siamo oggi e rende Doctor Who una delle serie più importanti e iconiche del nostro presente. Detto questo … adesso datemi il TARDIS!

Doctor Who: The Woman who fell to Earth - 11x01
8.5 Reviewer
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Pro
Doctor Who porta in scena una première degna, meritevole, diversa, che si afferma fedele al suo obiettivo di partenza e che realizza il suo progetto. Jodie Whittaker è il Dottore senza riserve e a modo proprio e i suoi Companion si rivelano perfetti per la sua era. La sceneggiatura di Chibnall è originale e idonea a questa nuova era.
Contro
La mancanza di una sigla d'apertura e del TARDIS si fa sentire. Attenzione a non dimenticare il passato.
Conclusioni
Doctor Who non delude ma sorprede, forse non conquista tutti ma si afferma nella sua originale indipendenza e questo basta, per ora.
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Rita Ricchiuti

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