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Gomorra 3: Perché è la migliore serie italiana? – Recensione

Giusto qualche giorno per riprendersi dal finale shock di Gomorra 3. E ora un resoconto di tutta la terza stagione. E non solo. Perché Gomorra è veramente la migliore serie italiana di tutti i tempi. Degna di essere definita una tragedia greca.

Non me ne vogliano le altre, in particolare Romanzo Criminale, l’unica che poteva insidiarla a parer mio, ma Gomorra è di un altro livello. Non mi preoccupo a dire che è la migliore serie italiana di tutti i tempi, anche se è appena finita Gomorra 3 e c’è una quarta stagione in programma. Non serve aspettare per dirlo.

E lo dico, non a caso, dopo la fine della terza stagione perché Gomorra 3 non solo ha mantenuto il livello delle altre due, ma lo ha alzato. E il finale l’ha dimostrato. In linea con la struttura data, in linea con il progetto, senza scadere, come fanno molte serie, e appagare il gusto del pubblico per poter tenere l’audience alto. Scelta che il più delle volte trascina inesorabilmente il prodotto verso il basso. Ma Gomorra no, Gomorra ha tenuto la linea. Ha costruito un mondo, ha fatto le regole e non le ha disattese. Un mondo di ombre e fantasmi, chiuso, senza uscita e senza speranza. In questo inusuale teatro, i personaggi si muovono consapevoli o no di vivere in una condizione di prigionia per la conquista di un potere che chiede un conto salatissimo e che sconfigge, travolge tutti quanti. Nessuno escluso. È solo questione di tempo.

E nel palcoscenico di Gomorra 3 è tessuta una trama dove i rapporti si intrecciano reggendo equilibri delicatissimi. Creano una spirale sempre più aggrovigliata fino al gran finale: la morte di Ciro. Si dipanano i fili di rapporti a 2 interconnessi, simmetrici e geometricamente costruiti, dove un terzo personaggio s’intromette sempre per o rompere o mantenere gli equilibri. Ne scelgo due, i più importanti: Scianel e Patrizia, da una parte, Ciro e Genny, dall’altra.

Scianel e Patrizia

La tensione che si crea è palpabile. Il gioco di sguardi, le battute che si susseguono tra i due personaggi mantengono nello spettatore sempre il dubbio della veridicità del sodalizio tra Scianel e Patrizia. Tutto questo si regge grazie alla profondità del personaggio interpretato da Cristiana Dell’Anna. Il suo coinvolgimento nella trama cresce mano a mano, prendendo sempre più spazio. La sua volontà di non far trapelare ciò che pensa, di nascondere tutto dietro a quell’espressione funebre (che ha da quando ha seppellito Don Pietro Savastano), le consente di poter giocare, di poter valutare e di poter rimbalzare tra Scianel e Genny, che in questo caso rappresenta il terzo personaggio all’interno del rapporto a 2, tutto al femminile.

Alla resa dei conti, come in un gioco di specchi, la vera natura di Patrizia esce prima salvando Genny, poi uccidendo Scianel. Uno scioglimento della trama che rispecchia quello tra Ciro e Genny, anche se declinato diversamente.

Ciro e Genny

Eccoci al punto più forte di Gomorra 3. La costruzione del rapporto tra Ciro e Genny. Maestro e allievo, nemici, persi, si sono ritrovati come due fantasmi, come in un dramma classico. E poi l’inserimento di un personaggio, Enzo, a disturbare il loro riavvicinamento, ma necessario per esigenze di drammatizzazione e di chiudere il cerchio, di tenere quella linea che ha contraddistinto la serie.

Al centro Ciro, preso dai rimorsi, diventato saggio e rassegnato, consapevole di un destino breve. Ai lati Genny, fratello per malasorte, ed Enzo, fratello per scelta. Ma due fratelli sono troppi. E con il passare delle puntate è una percezione sempre più concreta. Fino all’immancabile resa dei conti, come fra Scianel e Patrizia, ma che ha un altro esito, un altra valenza. Se come Patrizia, Ciro si trova in mezzo, diversamente da Patrizia, Ciro decide, per il passato che ha avuto, di soccombere. Decide così di avere due fratelli. E per farlo deve necessariamente agli occhi di uno farsi amare, dall’altro farsi odiare. E, nell’impianto della tragedia, a premere il grilletto sarà quello che lo ama. E Ciro s’inabisserà, parallelo chiaro della sua condizione da vivo: nell’abisso stava da solo, cupo e rassegnato, nell’abisso si trova da morto.

A pensarci non c’era fine migliore… non si poteva costruire una fine diversa da questa per la struttura della trama, per lo svolgimento degli eventi. Una tragedia alla greca a tutti gli effetti calata ai tempi nostri che racconta un mondo che esiste e che non ha luce, non ha speranza, un mondo di prigionia, di vite sprecate, di esistenze rubate, dilaniate.

Per tutte queste ragioni, le più significative secondo me, ma ce ne sarebbero altre, Gomorra può essere definita la migliore serie italiana di tutti i tempi.

Francesco Nespoli

Formazione prettamente umanistica: dalla triennale in Lettere a Torino alla magistrale in Editoria e giornalismo a Roma. Appassionato di scrittura e cultura... e oramai da anni invischiato nel mondo delle serie tv.

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Francesco Nespoli

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