Gomorra 3. Puntate 9 e 10. Tanti hanno parlato di folklore con accezione negativa. Ebbene queste due puntate ne sono intrise, ma l’effetto è un’immersione totale in quel mondo. Uno strumento per comprendere o tentar di comprendere ciò che sta dietro alle logiche e alle strutture della malavita.
Il sacro e il profano appartengono intimamente a tutti i personaggi di Gomorra e mai come in questi due episodi questo viene fuori. Il linguaggio, i luoghi, i dialoghi mischiano continuamente i due campi. E allora sorge il dubbio. Che siano entrambi sacri? O ancora meglio, che siano due declinazioni diverse del sacro?
Il murales di San Gennaro a Forcella
Giganteggiano sullo sfondo, mai in primo piano, i murales e le immagini iconiche di San Gennaro e Don Pietro Savastano. Si alternano. Il sacro e il profano. E così anche il linguaggio usato. Lo Stregone e il Santo, i soci che hanno “inventato la camorra”. Scianel, che ora si fa chiamare Annalì, che consulta i tarocchi. Le chiese dove avvengono incontri e consultazioni. Tutto si confonde, tutto si mischia. È il folklore, la rappresentazione di un folklore che rispecchia una tradizione, una cultura molto presente nella nostra penisola.
L’Italia, da sempre, avendo il Vaticano nel proprio seno, ha sviluppato un senso del religioso tutto particolare. Da una parte il contatto con la sacra Bibbia mediata dalla struttura ecclesiastica, dall’altra le tradizioni locali, le superstizioni, vecchi saperi intrisi di trascendenza. E il compromesso è stato la confusione dei due piani. Sia chiaro, parlo sempre di Gomorra o almeno di quello che vuole veicolare, del messaggio che vuole mandare.
Sacro e Profano si mescolano
Una sorta di sovrastruttura che alimenta quella cultura, passatemi il termine. Icone religiose e icone di personaggi legati alla malavita. Gomorra disegna un quadro agghiacciante, sicuramente in parte romanzato, dove si tenta di spiegare come è possibile che la malavita organizzata abbia trovato terreno fertile. Che sia la sete di potere? L’arricchimento? C’è qualcosa di più profondo alla base, sembrano dirci. E quale cosa più profonda ci può essere del sacro, o meglio della sacralità? Ancora più forte degli affetti familiari perché trascende, è immortale, non ha mai fine, non conosce la morte. Così pare.
Questo calderone di miti, santi e divinità fa parte del bagaglio culturale dei personaggi. Crescono guardando a Don Pietro, al Santo come entità oramai mitiche a cui tendere. Esplicativa, in questo senso, la vicenda della famiglia di Enzo. Dal Santo fino al nipote di Sangue Blu. Da chi ha iniziato tutto e poi lo ha perso trovando la morte, passando per chi riscatta il nome della famiglia fino ad arrivare al più piccolo che sceglie di guardare allo zio (Sangue Blu) come un modello. Il parallelo della scena dei ragazzi in scooter che girano per le vie della città sparando colpi in aria è emblematica.
Tre generazioni che si alimentano e alimentano, allo stesso tempo, quella cultura, quel circolo vizioso. Tutto si ripete nello stesso identico modo. Ma si ripete perché quella tradizione, che trova nel folklore la sua massima espressione (la confusione tra sacro e profano), crea un velo sulla realtà.
Il folklore diventa una maschera che fa dimenticare la propria limitatezza, la propria mortalità. Affascina, ammalia, fa sentire onnipotenti, ma poi chiede il conto. Il dialogo tra Enzo e sua sorella è profetico, con lei che, alla fine, gli dice: “Nessuno è intoccabile“. Ed è proprio lei a subirne le conseguenze.
Concludendo, significa, quindi, che veramente sacro e profano siano fatti della stessa sostanza? Sicuramente hanno dei punti in comune, ma la loro sovrapposizione può essere pericolosa e per evitarla, così sembra dirci Gomorra, c’è bisogno dell’avvento di una cultura altra, diversa… che nel mondo messo in scena dalla serie di Saviano, Sollima & C. non trova spazio.