Picnic at Hanging Rock rivive anche nel piccolo schermo. Le prime due puntate della serie tv con Natalie Dormer sono andatae in onda ieri su Sky Atlantic. Puntuale arriva la recensione di Gogo Magazine.
Tratta dall’omonimo romanzo di Joan Lindsay del 1967 e dopo il film di Peter Weir del 1975, Picnic at Hanging Rock diventa una mini serie di 6 puntate diretta da Michael Rymer, Larysa Kondracki e Amanda Brotchie. Nelle prime due puntate spicca il personaggio interpretato da Natalie Dormer (Game of Thrones), la vedova Appleyard, che concentra su di sé gli sguardi non solo degli altri personaggi, ma anche del pubblico. Una vera e propria calamita che crea una spirale vorticosa e progressiva intorno a sé. Ma a parte lei, il resto com’è?
La regia è coraggiosa. È il primo dato che si registra. Colpisce immediatamente con il piano sequenza iniziale che segue, di spalle, i movimenti della vedova Appleyard di nero vestita. Funziona da prologo introducendo sia, in modo intrigante, il personaggio di Natalie Dormer sia, in maniera suggestiva, l’ambientazione e il periodo in cui la vicenda è immersa. Un’Australia costretta a ricevere i modi, i vestiti, le regole dell’aristocrazia britannica di fine ottocento, ma che conserva il suo lato selvaggio, non addomesticabile.
Si crea un equilibrio precario tra queste due realtà che viene espresso attraverso Miranda Reid (Lily Sullivan), una delle ragazze del collegio Appleyard. S’intuisce fin da subito la sua sofferenza nel dover sottostare all’etichetta aristocratica, quasi borghese, e la sua propensione per l’incontaminata e libera natura rappresentata dal bosco, accanto al collegio, e soprattutto da Hanging Rock.
La puntata iniziale gioca su questo contrasto. La regia, dopo quel piano sequenza, si fa lenta, forse fin troppo. La volontà di voler descrivere il modo di vivere di quell’ambiente aristocratico diventa quasi stucchevole, impantanando lo sviluppo della trama. A tener alta la concentrazione c’è soltanto il passato oscuro e misterioso della vedova Mrs Appleyard.
Il registro cambia tono, invece, nella seconda puntata. Sì, perché è qui che la regia riprende il coraggio iniziale affidandosi alle sensazioni, alle allucinazioni, ai sogni attraverso distorsioni visive, a volte spinte, a volte appena accennate. L’atmosfera si fa più cupa e l’oscurità – come osserva la vedova Appleyard – s’insinua lentamente.
Il mistero della scomparsa delle ragazze nel giorno di San Valentino diventa ovviamente il punto d’origine su cui si basa tutta la struttura della serie. Lo sviluppo della trama si fa più dinamico e, di conseguenza, la vicenda amplia il suo raggio d’azione. Nonostante questo, a tener banco, c’è sempre Natalie Dormer, dotata di una personalità sicuramente maggiore rispetto al resto del cast.
Ancora tutta da scoprire, Picnic at Hanging Rock presenta dei punti di criticità che vedremo, se verranno sciolti, nelle puntate successive.
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