Slasher: Mille modi per morire (senza annoiare lo spettatore)
“Venerdì 13, Nightmare, Halloween” tutti titoli che per gli appassionati di slasher movie rappresentano pietre miliari del cinema, opere d’inarrivata fantasia e forse, proprio per questo, inarrivabili. Ma Slasher non ha grosse pretese, e pur rifacendosi alla tradizione stilistica granguignolesca che negli anni ’70 ed ’80 rivoluzionò il genere horror, resta consapevole della propria epoca d’appartenenza e della pesante eredità di cui si fa carico.
Questa seconda stagione di Slasher infatti è, almeno negli intenti, meno ambiziosa della prima e si presenta con una storia gradevolmente lineare: alcuni giovani istruttori di un campo estivo si macchiano di un crimine efferato, che, complice la concitazione del momento, occultano in modo sommario. Cinque anni dopo scoprono che la scena del crimine è stata indicata per la costruzione di un complesso residenziale, ed il gruppo, mosso dai sensi di colpa e dal timore che il proprio oscuro segreto possa essere rivelato, si reca nuovamente sul posto per eliminare ogni traccia del proprio passaggio.
La regia di Slasher non brilla per originalità anche se, complice un’ambientazione suggestiva, ci regala di tanto in tanto scorci paesaggistici affascinanti, che peraltro controbilanciano in maniera intelligente quelli ben più ricorrenti e claustrofobici nei quali si dipana la maggior parte della vicenda. La fotografia invece è essenziale e fa il proprio lavoro senza particolari note di merito, esattamente come il comparto sonoro.
Chiunque abbia avuto modo di approcciarsi a questo specifico genere cinematografico sa poi che la recitazione non ha mai, o quasi, un ruolo centrale all’interno della narrazione, e Slasher in questo non fa eccezione. Nonostante le ottime potenzialità di alcuni interpreti, Leslie Hope e Ty Olsson su tutti, nessuna performance fa gridare al miracolo.
Immagino che a questo punto molti di voi si stiano domandando “ma allora perché dovrei vedere Slasher?”, risposta: perché è dannatamente divertente.
Anche se a dire il vero Slasher fa più che intrattenere, e pur soffrendo l’artificiosità di alcuni dialoghi, disegna sotto gli occhi dell’ignaro telespettatore una trama complessa e intricata da cui è praticamente impossibile non venire irretiti.
Certo, il suo umorismo sadico e grottesco sicuramente non è adatto a tutti, ma per gli amanti del genere è una vera manna dal cielo, soprattutto dopo anni di remake tiepidi che hanno contribuito a confinare gli slasher movie nei loro anni d’oro, e a legarli indissolubilmente alle figure, come Wes Craven o John Carpenter, che ne hanno segnato la genesi.
Riassumendo: Slasher è sconsigliato ai deboli di cuore, ma vivamente consigliato a tutti gli altri, nostalgici e non. Brava Netflix.