Recensione

The Witcher, Recensione: lo strigo di Netflix è una delusione

Il Witcher di Netflix mette sul piatto una narrativa ambiziosa e potenzialmente accattivante, ma finisce per collassare lentamente sotto il peso delle aspettative

The Witcher, la nuova serie Netflix incentrata sulle avventure dello strigo Geralt di Rivia, è finalmente approdata sulla piattaforma streaming dopo più di un anno di straziante attesa. Lo show nasce dal più curioso dei matrimoni, quello tra i libri dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski e i videogiochi non canonici sviluppati dalla software house conterranea CD Projekt Red. La paura data dalla compresenza tra le due parti, ritenute estremamente differenti dallo stesso autore, ha costretto la sceneggiatrice statunitense Lauren Schmidt Hissrich a intervenire più volte per rassicurare i fan.

Dopo una full immersion di quasi otto ore e un rewatch obbligatorio, è dunque giunto il momento di togliersi il dente. A conti fatti, come potremmo definire questa nuova serie Netflix? La risposta è presto detta: deludente. 

Siamo chiari, gli otto episodi a tratti intrattengono, ma dal punto di vista critico è impossibile non commentare alcune gravi lacune narrative e di post-produzione.

Il vero problema di The Witcher è che se da una parte i libri compiono uno straordinario lavoro nel farci comprendere la mentalità di Geralt e i videogiochi nel metterci nei suoi panni, dall’altra la serie tv non fa nessuna delle due cose. La colpa è principalmente di una narrativa fragile, che fatica a ergersi per via dell’altrettanto debole sceneggiatura, sempre più frettolosa e rocambolesca  man mano che l’opera raggiunge il suo climax.

Di seguito analizzeremo passo per passo i principali punti deboli e le (poche) buone qualità di The Witcher. Seguono spoiler sulla completa prima stagione.

Il trionfo della passione

Quando si focalizza sulle avventure dei suoi singoli personaggi, The Witcher funziona davvero. Il pilot è uno dei pochi episodi in grado di far brillare gli occhi, specie quando, nei quindici minuti finali, mette in scena due dei migliori combattimenti all’arma bianca della storia del piccolo schermo.

Henry Cavill, già grande appassionato della saga, graffia sapientemente la sua voce interpretando in maniera più che convincente il macellaio di Blaviken, prendendosi in prima persona la responsabilità delle coreografie. Le movenze dello strigo ricordano, soprattutto nelle poche scene di combattimento, quelle del Geralt dei videogiochi, ed è un vero peccato a questo proposito che con lo scorrere delle puntate i balli di morte vadano sempre più a banalizzarsi, fino a diventare una vera e propria fiera del cliché permeata da salti mortali e improvvisi svenimenti di soldati in armatura.

Nonostante ce la metta tutta per regalare ai fan una performance degna di tale nome, Cavill dimentica ogni tanto il suo accento e appare a tratti goffo per via dell’imbarazzante costume di scena, che per quanto cerchi di ricordare quello dell’immaginario di Sapkowski, finisce per far sembrare l’attore come il più tonico dei cosplayer dell’ultimo Comic-Con.

Il cast d’altro canto si completa con una serie di scelte abbastanza efficaci, la cui sola eccezione è rappresentata da Triss Merigold (Anna Shaffer). In ambo le opere Triss viene presentata come una maga molto più giovane di Yennefer, non è quindi chiara la ragione per cui nella serie il ruolo è stato affidato ad un’attrice visibilmente più matura. Gli attori danno comunque il massimo con il materiale a loro disposizione, spesso sbrigativo, infantile o semplicemente confusionario.

Nonostante tutto però, è innegabile che in The Witcher ci sia tanta, tanta passione. La storia segue pedissequamente i punti chiave dell’opera di Sapkowski e le tenta tutte pur di non sbandare, riuscendo a tratti a confezionare ore di vero intrattenimento. A rimandare fuori strada la serie Netflix però, ci pensa la narrativa.

Un passo in avanti e tre indietro

Raccontare la storia di Geralt è tutt’altro che semplice, soprattutto perché il mondo di The Witcher è decisamente troppo ampio per essere illustrato in così pochi episodi. Come fare allora? La risposta è nei primi due libri, che riescono nella missione grazie ad un semplice trucco. Ogni capitolo dell’opera cartacea mette il Lupo Bianco contro un mostro differente, e sfrutta l’occasione per introdurre pian piano ognuno dei personaggi, da Jaskier a Triss, da Folcast a Calanthe.

Ora paragoniamo questo stile narrativo a quello di Hissrich, che con la sua sceneggiatura scarica addosso allo spettatore una mole spaventosa di informazioni già a partire dal primo episodio. “Nilfgaard ci sta attaccando, ma raggiungerà prima Temeria“, “50 navi da Skellige ci aiuteranno in battaglia“, “I nilfgaardiani attraverseranno il passo di Amell“. Ok ma cos’è Temeria? Cos’è Skellige? Da dove arrivano questi nilfgaardiani? Uno spettatore che non ha mai approcciato una sola di queste opere, come può non trovarsi spaesato di fronte a questo tipo di scrittura? Non è un caso, a tal proposito, che The Witcher dia il meglio proprio quando il focus è sulla genesi dei personaggi o sulla caccia al mostro, piuttosto che quando debba andare a dipingere il quadro completo.

Il disastro narrativo però non è unicamente rappresentato dal gibberish spasmodico, quanto piuttosto da una totale mancanza di informazioni chiave e dal colpo di scena del terzo episodio.

Nella puntata numero tre viene infatti rivelato che la storia è, in realtà, spezzata in tre diverse linee temporali. Gli eventi di Yennefer precedono quelli di Geralt, che a sua volta precedono quelli di Ciri. Tutto chiaro, giusto? Non proprio. Perché con il passare delle ore le linee temporali si mischiano, e non essendoci una qualunque sorta di invecchiamento visivo dei personaggi, non è mai chiaro il periodo in cui sta svolgendo la storia. Eccoci dunque arrivati al puro caos. Scene che si svolgono in concomitanza con l’invasione di Nilfgaard, scene che si svolgono dopo la fuga di Ciri, scene in cui un personaggio dice “Da quanto non ci vediamo? Mesi? Anni?” senza dare una risposta precisa.

Il che porta alla seconda domanda. Perché Geralt, Yennefer o Calanthe non invecchiano? Ovviamente chiunque abbia approcciato in precedenza le altre opere conosce la risposta, a differenza da chiunque abbia deciso di iniziare proprio dalla serie tv. Geralt non parla mai dell’aspettativa di vita di uno strigo, mentre Yennefer si limita a commentare di aver “vissuto abbastanza per tre vite” poco prima dello scontro finale. Ma se da una parte i primi due sono giustificati dalle scrittura di Sapkowski, così non è per la terza, che semplicemente non invecchia per via di un errore. Una svista.

Dona un soldo al tuo Witcher

Volendo ignorare il tumultuoso episodio finale, conclusosi con il fortuito incontro tra Geralt e Ciri, e la sceneggiatura, lacunosa a dire poco, cosa avremmo di fronte? Il terzo problema, quello del budget.

The Witcher non è una serie costata poco, e a parte qualche creatura in CGI mal riuscita (ndr. primo scontro dell’episodio 1), mette in scena panorami mozzafiato e degli effetti speciali di discreta fattura. Ovviamente tutta questa bellezza viene a un costo, qui pagato principalmente con il numero di episodi.

La serie non ha il tempo di illustrare l’ambientazione, nè di mostrare in tutta la sua completezza la backstory dei personaggi principali, e finisce quindi per racchiudere 12 anni di storia in appena otto episodi. A questo punto, con una stagione 2 già in cantiere, avremmo decisamente preferito che l’incontro tra Ciri e Geralt fosse stato rimandato, a favore di un più attenta analisi in depth degli altri personaggi.

Altra nota dolente per i costumi, a metà tra il bizzarro e l’inspiegabile. Tra tutti, a soffrirne maggiormente sono senza dubbio il protagonista e i poveri soldati di Nilfgaard. Ci aspettiamo che nella prossima stagione il prevedibile aumento di budget copra per lo meno alcuni di questi difetti.

Verdetto finale

The Witcher ci prova, ma non ci riesce. È una serie che dà per scontato il suo successo ancora prima di meritarselo, agendo di conseguenza e finendo per chiedere al suo pubblico di informarsi prima di vedere la serie. Salti temporali con personaggi umani che non invecchiano, punti chiave non spiegati, dialoghi infantili, una generale frettolosità ed enormi difetti di sceneggiatura permeano costantemente l’opera, finendo per confondere lo spettatore prima di colpirlo con una clamorosa serie di cliché. Eppure, nonostante tutto, The Witcher ha qualcosa che gli permette di non crollare. Il carisma di alcuni personaggi, le scene di combattimento, le interpretazioni e le musiche salvano l’opera, permettendogli in extremis di raggiungere la sufficienza.

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6 Reviewer
Users 4.2 (5 voti)
Pro
Scontri all'arma bianca spettacolari, Colonna sonora di tutto rispetto, Gli attori ce la mettono tutta..
Contro
.. ma purtroppo i dialoghi non li aiutano, Generale confusione narrativa, Sceneggiatura piena di buchi
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Alessandro Digioia

26, studente universitario presso il Campus Luigi Einaudi di Torino. Scrivo occasionalmente di sport, cinema, videogiochi, musica e attualità.

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