Il 5 Ottobre 2018 la piattaforma streaming Amazon Prime Video ha rilasciato finalmente l’intera terza stagione di The Man in the High Castle, serie ucronica distopica con animo sci-fi che presenta una realtà alternativa degli anni ’60 conseguente alla vittoria delle potenze dell’Asse nella Seconda Guerra Mondiale. A due anni di distanza dalla seconda stagione, The Man in the High Castle porta in scena il suo terzo atto e il risultato è assolutamente straordinario.
Una gioventù entusiasta e brillante assiste con eccitazione e gioia allo spettacolo che segnerà la loro vita e definirà il loro futuro; applausi, celebrazioni e fuochi d’artificio accompagnano l’avvento di una nuova storia, di un nuovo mondo; le eccellenze di una nazione e della sua società affermano nuovamente il loro incontrastato potere, in una serata unica, splendente nella sua oscurità, in cui la distruzione di un simbolo segna il crollo della Libertà, mentre l’inno alla gioia di Beethoven incornicia la cancellazione del passato e l’inaugurazione dell’Anno Zero.
È questa una delle scene più iconiche, emozionanti e fondamentali della terza stagione di The Man in the High Castle, una scena piuttosto conclusiva che sembra annullare tutti gli sforzi e i tentativi di Juliana e dei suoi alleati di infondere nella gente un debole senso di speranza, un momento che attacca alle fondamenta tutto ciò che gli Stati Uniti D’America hanno sempre significato nell’immaginario collettivo, ossia la terra delle possibilità, delle speranze e della libertà, e lo fa con quel tradizionale alone di ipocrisia e appropriamento culturale che il nazismo era solito abbracciare e che The Man in the High Castle ha costantemente evidenziato con incredibile intelligenza di scrittura.
La tanto attesa terza stagione di The Man in the High Castle non è stata una sorpresa nella qualità e nella puntualità delle sue storie e dei suoi protagonisti, è stata una conferma, la conferma della capacità unica di questa serie di riuscire a far evolvere con impeccabile ordine ed equilibrio tutti i suoi elementi caratterizzanti, conciliando con precisa maestria drammaturgica le sue due anime essenziali: l’ucronica e distopica rappresentazione di una storia alternativa e il volto sci-fi dei suoi obiettivi a lungo termine.
In 10 episodi, la terza stagione di The Man in the High Castle ha saputo soprattutto concedere le risposte di cui più avevamo bisogno, non tutte, certo, impostando anche una necessaria base per la quarta stagione, ma dimostrando rispetto e fedeltà ai suoi protagonisti, mentre donava a tutti loro il percorso e a volte il finale a cui erano destinati.
La nuova stagione di The Man in the High Castle affronta la realtà di un mondo che sta cambiando, più di quanto sia mai avvenuto precedentemente, un mondo che vive costantemente in bilico sul limitare di una guerra, che trasforma, travolge e annienta le anime che lo abitano e che cerca ancora la sua debole speranza in un universo diverso, migliore, lontano.
The Man in the High Castle 3: Tutto comincia e finisce con Juliana Crain
“But you were always you, you and your unnatural consistent mind” – L’unicità della caratterizzazione di Juliana Crain nella realtà di The Man in the High Castle, l’importanza della sua sola esistenza in un mondo che mai come ora appare instabile, in trasformazione, inaffidabile nella storia e nei protagonisti che l’hanno vissuta, giace proprio e ancora in queste parole, pronunciate da Abendsen nel finale della seconda stagione della serie. È particolarmente originale ma profondamente giustificato notare quanto, nel passaggio tra la seconda e la terza stagione di The Man in the High Castle, proprio Abendsen si sia rivelato quasi una chiave di lettura impeccabile del personaggio di Juliana Crain, quanto sia riuscito a capirla forse meglio di chiunque altro perché l’ha osservata da ogni prospettiva, quasi come noi spettatori, e l’ha vista affermarsi, volta dopo volta, nella sua improbabile e innaturale costanza di carattere, di mentalità, d’intenti.
Anche nella terza stagione di The Man in the High Castle, il rapporto tra Abendsen e Juliana appare come un legame a cui entrambi erano in qualche modo destinati, rivelandosi anche più simili di quanto avessero immaginato precedentemente. Abendsen e Juliana diventano infatti in questa nuova fase della serie fautori di un tenue risveglio, di una ribellione che è ancora lontana dalla portata che ha bisogno di raggiungere ma che cresce debolmente contro ogni aspettativa e che si diffonde e si insinua tra le pieghe di una società addormentata.
In uno sviluppo degli eventi che si potrebbe definire ciclico, Juliana e Abendsen sembrano intenzionati a riprendere il loro percorso esattamente dal punto in cui era cominciato nel primo episodio di The Man in the High Castle, vale a dire da quel filmato che mostra gli Alleati trionfanti alla fine del secondo conflitto mondiale, quel filmato che aveva cambiato la vita di Trudy e che aveva infuso in Juliana una speranza sconosciuta, lei che di quella speranza era la chiave.
La figura di Trudy nei primi due episodi della terza stagione di The Man in the High Castle appare ora in realtà come un necessario strumento per Juliana per ricordare ciò che l’ha spinta a combattere la prima volta, la testimonianza più evidente di come anche la sua realtà potrebbe cambiare, di come un mondo libero possa ancora esistere. Il rapporto che le due sorelle riescono a stringere nel breve tempo che condividono rappresenta in realtà uno dei pochi spiragli di pura luce di questa stagione di The Man in the High Castle e diventa uno dei dettagli più umani della caratterizzazione di Juliana ma soprattutto si rivela per lei come un motore per ricominciare a vivere e a lottare.
Il percorso di Juliana dopo il secondo addio a Trudy appare inarrestabile, rinvigorito, deciso, forte di un obiettivo ritrovato ma soprattutto rafforzato da una visione più chiara del suo posto nel mondo. Pur restando assolutamente coerente e fedele alla sua previa caratterizzazione, Juliana cresce in questa stagione di The Man in the High Castle, abbraccia nuove certezze, ma soprattutto matura un nuovo spirito analitico che le permette di scindere per davvero le sfumature di moralità e lealtà delle persone che incontra sul suo cammino.
Così come il rapporto con Abendsen era apparso quasi fatalmente inevitabile, anche il legame con Tagomi si afferma ora in The Man in the High Castle come una componente necessaria e fondamentale non solo per la missione che entrambi i personaggi intendono compiere ma anche o soprattutto per la loro evoluzione umana. Tagomi rappresenta per Juliana tutto ciò che in fondo aveva sempre apprezzato della cultura nipponica: l’armonia, la saggezza, la riflessione, la pace, tutti aspetti che diventano ora per lei indispensabili proprio per affrontare la sua guerra senza perdere se stessa.
La Juliana che ritroviamo in questa terza stagione di The Man in the High Castle è una donna che intimamente fa i conti con ciò che ha vissuto e che mette in prospettiva proprio le sue esperienze per imparare da esse. La sua incondizionata e umana fiducia nel prossimo, la sua voglia di ispirare speranza e di svegliare le menti dormienti a credere in un futuro libero sono caratteristiche che si evincono ancora chiaramente dal suo rapporto con Wyatt/Liam e della sua ferrea volontà di guidare la sua Resistenza, diversa dalle forme estremiste che abbiamo conosciuto nelle prime due stagioni di The Man in the High Castle, ma allo stesso modo in realtà Juliana non è più disillusa e anche il suo sguardo nei confronti delle persone che orbitano nella sua vita cambia.
Fin dal principio, quando Joe ritorna improvvisamente nella sua vita, l’atteggiamento di Juliana appare ben distante dal momentaneo trasporto che aveva vissuto nella prima stagione di The Man in the High Castle, il loro diventa un rapporto torbido, che vive di sospetti, di sfiducia, di segreti e informazioni rubate attraverso un bacio o qualcosa di più. L’esito drammatico della loro relazione è inevitabile ma ciò che colpisce particolarmente della dinamica sconvolgente del quinto episodio sta nella straordinaria e lucida freddezza calcolatrice delle azioni di Juliana, nella sua capacità di creare immediatamente un distacco emotivo da Joe e nella sua risolutezza nel portare a compimento un attacco che le permetterà di salvarsi e di continuare a combattere la sua guerra per la libertà.
Alla recisione netta del suo legame con Joe dunque corrisponde un emozionante ritorno alle origini con il ritrovamento di Ed e Frank e soprattutto con il promemoria che entrambi rappresentano per lei, il ricordo della persona che era e che adesso può tornare ad essere proprio per proseguire il suo cammino senza dimenticare se stessa nel percorso.
Anche se solo per un giorno, anche se solo per la durata di una notte, Frank in particolar modo ritorna ad essere per Juliana il punto di riferimento imprescindibile della sua quotidianità, l’unica presenza della sua vita che ancora riconosce la sua luce più intrinseca, che le concede fiducia incondizionata e che crede nel suo stesso sogno di un nuovo mondo, di una nuova alba.
La conclusione del “viaggio” di Juliana in questa terza stagione di The Man in the High Castle appare ora quasi come un’ascesa spirituale del personaggio, di una donna che per tutta la stagione è entrata in contatto con le sue vite precedenti o parallele, che ha creato un autentico legame con quelle realtà alternative a cui appartiene e che nel finale, proprio nel suo momento di maggiore sofferenza e prigionia, riesce a raggiungere fisicamente slegandosi dalla materialità del suo mondo e affermandosi nella libertà del suo spirito.
Juliana Crain è per The Man in the High Castle il punto di partenza e il traguardo di una lotta costante, è il simbolo di una moralità del tutto umana che non rinnega le sfumature e i compromessi ma è anche l’unica portatrice di una speranza che cresce come un fiore ai piedi di un vulcano.
The Man in the High Castle 3: Il silenzioso dilemma di John Smith
La caratterizzazione di John Smith nella terza stagione di The Man in the High Castle era probabilmente una delle più attese ma si è rivelata sorprendentemente silenziosa e introspettiva, un’evoluzione della sua storia lieve, graduale, fatta di sguardi e di pensieri che prendono forma dalle magistrali interpretazioni appena accennate di Rufus Sewell, una caratterizzazione dunque che ha portato maggiormente in scena il mondo interiore del personaggio ma che, così facendo, è anche apparsa quasi bloccata in una condizione di stallo.
La morte di Thomas, circondata da un alone di pubblico eroismo e vista proprio come esempio di coraggio ed encomiabile lealtà al partito e alla sua ideologia, crea nella terza stagione di The Man in the High Castle una frattura sempre più profonda nel solido matrimonio tra John ed Helen che per quanto sembrino disposti a provare ad affrontare insieme la loro perdita, si allontanano progressivamente proprio per la diversa reazione al lutto. Se Helen infatti non riesce a superare la morte di suo figlio con quella grazia e quell’aplomb che la società nazista si aspetterebbe da lei, John appare, nella sua scalata alla gerarchia di potere del partito che compie in questa nuova fase di The Man in the High Castle, più in pace con le sue emozioni e con il suo dolore, apparenza appunto che lo allontana sempre di più da Helen e che per la prima volta alimenta un clima d’incomprensione tra i due coniugi.
Ma proprio quella caratterizzazione introspettiva che, al contrario di Helen, noi possiamo vedere ci mostra un lato di John letteralmente tormentato dalla morte di Thomas, un lato che seppur silenziosamente mette in discussione la lealtà a un’ideologia che gli ha portato via un figlio ma soprattutto mette in discussione il suo ruolo di padre nella vicenda, cominciando a capire quanto questa parte così importante di sé entri ora in conflitto con l’emblema del potere nazista che lui sta diventando.
Le parole di Juliana nel finale della terza stagione di The Man in the High Castle danno voce per la prima volta a questo dubbio atroce, a un dilemma morale che è stato introdotto nella seconda stagione ma che si è sviluppato intimamente in quest’ultima fase, in seguito alla morte di Thomas, un evento che avviene tra l’altro quasi contemporaneamente alla scoperta di John della realtà del multi-universo e delle verità nascoste nei filmati dei “viaggiatori”. Se per il Fuhrer Himmler infatti questa rivelazione diventa simbolo di una diffusione del Reich oltre limiti che non aveva neanche osato immaginare, l’esistenza di un mondo parallelo in cui la sconfitta del nazismo si è tradotta in una vita libera da vincoli e obblighi accanto a suo figlio diventa per John la causa un incubo che lo perseguita perché mette in dubbio le scelte che hanno definito un’intera esistenza.
Per questo motivo, la terza stagione di The Man in the High Castle si rivela per John costantemente in bilico, tra un supporto all’ideologia che a volte appare quasi di facciata e un intimo desiderio di aver vissuto una vita diversa, un dilemma dall’equilibrio instabile a cui però Helen assesta un colpo potenzialmente fatale fuggendo con le figlie, anche loro ora vittime dei dettami della razza ariana. Spaventata infatti dalla possibilità di non conoscere più le priorità di John, Helen ignora i suoi tormenti interiori ma così facendo in realtà lo spinge ancora di più ai vertici del potere nazista, allontanandolo probabilmente dalla sua umanità.
The Man in the High Castle 3: Perfetto connubio tra storia e sci-fi
Nella sua terza stagione, The Man in the High Castle ha anche accompagnato l’evoluzione di uno dei suoi punti cardine, vale a dire il binomio tra la base della serie costituita dalla distopia ucronica e la sua crescente componente sci-fi, costituita proprio dall’affermazione del multi-universo. Il modo in cui quest’ultimo elemento caratterizzante ha preso il sopravvento sulla storia nella terza stagione di The Man in the High Castle ha rappresentato uno dei migliori percorsi di crescita dell’intera serie, partendo da sfumature appena abbozzate e giungendo ora alla realizzazione concreta della realtà del multi-universo.
Ma nonostante lo sviluppo della componente sci-fi, The Man in the High Castle non dimentica la sua base storica introducendo infatti nuovi elementi che sono andati ad arricchire quella squisita capacità della serie di capovolgere figure ed eventi celebri per rileggerli in chiave distopica.
La caratterizzazione di J. Edgar Hoover è stata una delle più importanti da questo punto di vista per gli obiettivi che The Man in the High Castle intende raggiungere, conciliando infatti nel suo personaggio gli aspetti più ambigui della figura storica realmente esistita con un inedito ritratto di un uomo potente al servizio del partito nazista, un emblema della storia e della cultura americana stravolto in chiave totalitaria ma al tempo stesso non troppo distante dai punti ciechi che caratterizzavano la sua vera identità.
L’aspetto storico narrato da The Man in the High Castle si evince con spessore anche dalla rappresentazione di una realtà che vacilla di fronte al pericolo di una guerra nucleare. I rapporti tra Giappone e Germania appaiono ora sempre più incrinati e in entrambe le fazioni, così com’è accaduto nelle prime due stagioni della serie, coesistono pareri interventisti e pacifici. In particolar modo, l’impero nipponico stanziato in America vede in Tagomi e Kido due aspetti quasi diametralmente opposti della cultura e della mentalità politica giapponese, un contrasto che a volte viene evidenziato anche scenicamente, posizionando i due protagonisti l’uno di fronte all’altro ma separati da un’inconciliabilità di pensiero.
The Man in the High Castle 3: Jahr Null – l’inaspettata Nicole Dormer
Quello che nella seconda stagione di The Man in the High Castle è apparso come un personaggio senza nulla da offrire alla storia se non una sfumatura di caratterizzazione nella figura di Joe Blake, diventa ora un’affascinante e inaspettata sorpresa. Nicole Dormer si è rivelata infatti portatrice di una storyline che si è imposta nella sua indipendenza e che ha permesso alla giovane e intraprendente figlia privilegiata di emergere con determinazione nella regia della propaganda del partito e del suo obiettivo principale: la cancellazione della storia americana e del suo passato a favore di un nuovo inizio, di un “Anno Zero” in cui il Reich si libera del lifestyle americano e impone ancora di più la cultura nazista di matrice germanica.
Nicole ha definito in questo modo uno degli aspetti più intriganti della terza stagione di The Man in the High Castle, una sfumatura fortemente orwelliana della storia che scenicamente ha donato un sapore nuovo e seducente alla sua storyline, e anche grazie alla relazione con la giornalista Thelma Nicole ha saputo creare nelle dinamiche della stagione un microcosmo tutto suo di cui è stata indiscussa protagonista.
Bella Heathcote è Nicole Dormer nella terza stagione di The Man in the High Castle
The Man in the High Castle 3: Frank Frink e la comunità ebrea del St. Theresa
Degna di nota in questa terza stagione di The Man in the High Castle è la parentesi dedicata alla comunità ebrea del St. Theresa rifugiata nella Zona Neutrale degli Stati Uniti d’America. Attraverso le figure di Sampson, Lila e di Frank stesso, la comunità appare, in una realtà così oscura e negativa, come uno spiraglio di luce e di speranza, un angolo di paradiso ritagliato in un quotidiano inferno in cui poter ancora realizzare quel mondo migliore per cui Juliana combatte.
Nonostante gli abitanti della comunità non siano pronti per seguire Juliana nel suo progetto di resistenza, la loro solo esistenza è una conferma della ragione della sua lotta, è il motivo per cui vale ancora la pena crederci.
Emerge con straordinaria forza in questo contesto il personaggio di Frank, la cui storyline nella terza stagione di The Man in the High Castle non soltanto era necessaria per concedergli quella chiusura che meritava ma si è rivelata anche indispensabile per la realtà in cui ha vissuto e per l’umanità di Juliana Crain. Frank ha avuto la possibilità in questa stagione di fare i conti con le sue azioni e con la propria coscienza, è riuscito ad abbracciare il suo ultimo obiettivo e infine ha lasciato un segno visibile del suo passaggio, diventando un simbolo, di speranza, di ribellione, di possibilità di risorgere.
In definitiva, la terza stagione di The Man in the High Castle si conclude pervasa da un’oscurità forse più intensa di quella preesistente ma mentre la Libertà sembra morire nella distruzione del suo emblema americano, un nuovo “sole” rinasce nella notte più oscura e Wyatt ed Ed sembrano pronti a portare avanti gli insegnamenti di Frank Frink e Juliana Crain. La Resistenza non è ancora sconfitta e ciò che non la uccide adesso la rende più forte.
The Man in the High Castle 3: Recensione
Conclusioni
The Man in the High Castle conferma la sua straordinaria qualità scenica, recitativa, di scrittura e regia, affermandosi ancora una volta come una delle serie tv migliori degli ultimi anni.
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