Serie TV

The Man in the High Castle: una scena per fuggire dalla realtà

Può una singola scena raccontare una serie tv? Un mese fa abbiamo inaugurato una rubrica con cadenza mensile che intende indagare proprio questo interrogativo: esiste una singola scena in grado di rappresentare e racchiudere nella sua essenza l’anima di una serie? Questa è la risposta che vogliamo dare in questo mese per The Man in the high castle.

The Man in the high castle è una serie che presenta, nella sua idea di partenza tratta dall’omonimo romanzo distopico ucronico di Philip K. Dick, nella sua realizzazione evoluta sullo schermo e nella sua struttura intrinseca in quanto prodotto televisivo, una straordinaria commistione di obiettivi creativi, morali, etici e professionali portati a complimento con sublime precisione e con una tempistica che per quanto possa apparire frustrante nell’attesa, si rivela probabilmente idonea per il tipo di prodotto finito che The Man in the high castle intende essere.

Per questo motivo dunque, The Man in the high castle possiede un tale ordine d’esecuzione di questi obiettivi e una tale chiarezza nel loro raggiungimento da portare in scena, almeno finora, venti episodi che hanno saputo gestire gli imponenti sviluppi narrativi, psicologici e tematici di questa storia così originale e carismatica con ammirevole equilibrio e che hanno quindi reso ogni singolo momento di The Man in the high castle profondamente giusto ai fini della serie e della sua anima più autentica.

The Man in the High Castle, una produzione Amazon Prime Video

In una sceneggiatura complessiva dallo spessore costante e dalla valenza etico-morale sempre reale, sempre contemporanea, emerge per quanto mi riguarda una scena che custodisce nella sua breve durata una singola frase in grado non solo di raccontare uno dei punti cardine della storia narrata da The Man in the high castle, ma capace anche di aprire una discussione che esula facilmente dai confini della serie.

Cary-Hiroyuki Tagawa è Nobusuke Tagomi in The Man in the High Castle

Inserita in uno degli episodi più significativi di The Man in the high castle, vale a dire il secondo della seconda stagione “The road less traveled” [2×02], un episodio che rappresenta un fondamentale nuovo inizio sia per la serie che per i suoi protagonisti, e scritta dallo sceneggiatore Rob Williams, la scena in questione si definisce tramite le parole del Ministro del Commercio dell’Impero Giapponese stanziato negli Stati Uniti D’America Nobusuke Tagomi e fa in realtà da sfondo a una serie di scelte e di momenti catartici per personaggi in quel momento ancora inconsapevoli di essere giunti a un bivio nella loro esistenza.

Ruolo chiave nella congiunzione tra l’anima storica ucronica alla base della serie e l’universo sci-fi in cui The Man in the high castle è inserito, agli esordi della seconda stagione Tagomi è l’unico personaggio che comincia a interrogarsi sulla possibilità dell’esistenza di un mondo diverso dal proprio, un mondo che ha vissuto come in un sogno in quello che invece è il primo passo concreto nella realtà del multi-universo.

Alla ricerca di risposte che possano spiegare un’esperienza astratta che gli appare quasi mistica in quella particolare fase della storia di The Man in the high castle, Tagomi si rivolge alla sezione dei libri proibiti della biblioteca, una decisione che va così a infrangere la superficie di una realtà plastificata e impostata, va ad alimentare una lieve frattura nella perfetta apparenza indotta dal potere tirannico e risveglia in questo modo una cognizione dormiente.

But when one’s troubled by the reality of this world
can be comforting to consider other possibilities.
Even if those possibilities disturb us,
so strong is the desire to escape the tyranny of consciousness and the narrow boundaries of our perceptions,
to unlock the prison of thoughts in which we trapped ourselves,
all in the hope that a better world
or a better version of ourselves perhaps, may lie on the other side of the door
.”

[“Ma quando si è turbati dalla realtà di questo mondo prendere in considerazione altre possibilità può essere di conforto anche se quelle possibilità ci recano inquietudine, tale è il desiderio di sfuggire alla tirannia della propria coscienza e dei limitati confini della percezione da rompere quelle catene del pensiero con cui imprigioniamo noi stessi nella speranza che un mondo migliore o, magari, una migliore versione di noi stessi si nasconda dietro quella porta.” – The Man in the High Castle]

Le parole di Tagomi riescono a racchiudere nella loro poetica e articolata esposizione un concetto in fondo straordinariamente semplice, quotidiano, insito non solo nella storia di The Man in the high castle ma anche in quella di ogni essere umano. Si tratta del bisogno primordiale dell’uomo, imprigionato in una realtà che non lo rispecchia e in cui non riesce a vivere, di credere nella possibilità di una via di fuga, di sperare in un mondo differente, migliore, di cullarsi nella dolce illusione di un sogno che possa annullare una realtà impossibile.

In The Man in the high castle questo è sempre stato il potere assoluto dei filmati, la ragione per cui rappresentano una tale minaccia per l’ordine politico prestabilito, vale a dire la capacità di risvegliare le menti e di mostrare loro un’altra via, un altro modo di intendere la propria esistenza e la propria realtà, un modo diverso da quello che gli è stato imposto.

La via di fuga di Tagomi, prima ancora del raggiungimento della consapevolezza di sapere effettivamente viaggiare tra gli universi paralleli della realtà di The Man in the high castle, si afferma in questo particolare momento nella conoscenza, una conoscenza che può far paura quando è avvolta nel mistero ma che comunque rappresenta un’alternativa migliore all’oscurantismo della sua realtà. Quando lo ritroviamo infatti nella sezione dei libri banditi dal commercio, Tagomi è intento a studiare, tra i diversi volumi, “The Varieties of religious experience”, del filosofo e psicologo William James. L’importanza di questo dettaglio sta proprio negli interrogativi che un libro del genere fa nascere, nelle domande, nella ricerca e nella coscienza critica che farebbe crescere in una mente addormentata per troppo tempo.

Le parole di Tagomi in questo momento caratterizzante per The Man in the high castle custodiscono non soltanto la chiave per liberare una realtà distopica e una società oppressa come quella ritratta nella serie ma raccontano anche una verità umanamente universale: tutti noi cerchiamo una via di fuga, tutti noi avvertiamo quotidianamente il bisogno di evadere da un’esistenza che per quanto libera possa essere spesso ci imprigiona in una routine difficile da spezzare, e per farlo anche noi, come Tagomi, inseguiamo e realizziamo a modo nostro la possibilità, seppure a volte onirica o momentanea, di vivere una vita migliore.

The Man in the High Castle torna con la terza stagione il 5 Ottobre

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Rita Ricchiuti

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Rita Ricchiuti

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