The Walking Dead, 7° puntata, 8° stagione. La resa dei conti sembra arrivare e direi finalmente. Le puntate, le ultime soprattutto, si trascinano, si allungano, spero (e speriamo) per il gran finale. E allora, mentre lo aspettiamo, Kirkman & C. ci danno da riflettere, giocano e si divertono con i personaggi. Ieri è toccato a Eugene.
Se infatti la quinta puntata aveva scavato nel profondo di Negan scoprendo uno dei personaggi, a questo punto, meglio riusciti della serie, in un modo scenograficamente, tra l’altro, teatrale e per questo molto suggestivo – il prete Gabriel nella disperata ricerca di una missione per conto di un Dio chiuso in una roulotte assieme a Negan -, ieri Kirkman si è divertito a stuzzicare, a pungolare l’animo di Eugene, personaggio secondario e di contorno, quando aveva fatto la sua comparsa in Walking Dead, e ora più che mai complesso, sfumato, caratterizzato e di diritto fra i protagonisti di questa stagione.
Nel mondo di Walking Dead dove la logica ha perso il suo diritto di esistenza, Eugene ne rappresenta disperatamente l’ultimo baluardo (non troppo stabile). E non a caso così fragile. Non tutti sopravvivono e chi ce la fa, trova il suo personale modo: chi si aggrappa alla forza, chi all’opportunismo, chi a qualcuno, ecc. Ebbene, Eugene ha scelto il modo più paradossale: sopravvive in un mondo illogico e senza leggi aggrappandosi totalmente alla razionalità, alla cieca e cruda razionalità cercando di evitare le emozioni forti come fossero un cancro, perché sa di essere debole, fragile, vulnerabile, perché sa di essere intimamente un codardo.
È la cavia del suo stesso esperimento di sopravvivenza. Ed è molto evidente, non tanto dalle azioni e dai gesti, bensì dal linguaggio. Se tutti scelgono un linguaggio ora mosso dalla rabbia, ora dal rimorso, ora dalla vendetta, ora dalla cattiveria, ora dalla compassione, Eugene parla mosso da nessuna emozione. È spinto solo dalla logica e, infatti, il suo linguaggio è asettico, quasi fosse un saggio scientifico, netto, inumano, se vogliamo dire, privo di emozioni. Lo dirà lui stesso nella puntata: “La sopravvivenza è il mio imperativo categorico“. Segue solo quella, non amici o compagni, solo se stesso. Ma per arrivare a sposare totalmente questa consapevolezza, la cavia Eugene ha dovuto superare una prova.
Si trova nella condizione di sapere qualcosa che se tace lo porterà alla morte per mano di Negan, che se parla potrebbe portarlo alla morte per mano dei suoi ex compagni di viaggio (così li definisce, e anche qui traspare la volontà di allontanare ogni sentimento che prova nei loro confronti).
Dilemma che lo dilania, che lo tormenta e che per un attimo lo conduce verso il tradimento di Negan. Quando? Quando va a trovare il prete Gabriel. Il dialogo è fondamentale. Il prete, nello scambio di battute, gli dice biblicamente: “Tu, scienziato, dedito alla logica, se prima di tutto questo, ti avessi detto che i morti avrebbero camminato, mi avresti riso in faccia, e ora guarda il mondo, guarda questo mondo, la logica non c’è più, c’è solo la fede“. Lui, Eugene, che aveva scelto deliberatamente di aggrapparsi alla logica per sopravvivere in un mondo irrazionale a queste parole ha un sussulto, gli prende la mano e sembra cambiare devozione: dalla razionalità della scienza all’irrazionalità della fede. Ma è solo un sussulto.
E in questa situazione, la sua scelta, cercando di convincere soprattutto a se stesso, ruota attorno al linguaggio e a un ragionamento logico: Io sono Negan, noi siamo i Salvatori e salviamo la gente, ergo io devo salvare la gente che sta chiusa qui dentro“. Sto parafrasando ma il succo è questo, e lo dichiara anche a Negan. Ma è una colossale menzogna. I motivi della sua scelta sono ben altri. E vengono fuori dopo l’attacco alla loro base da parte degli uomini di Rick disobbedendogli, tra l’altro.
Eugene salva Dwight
Eugene, alla luce di questo, scopre definitivamente se stesso, come se nascesse un’altra volta. E l’atto di nascita arriva subito quando va nuovamente dal prete Gabriel e gli sputa addosso tutto ciò che lui è (parafraso ancora): “Non aiuterò la vostra causa, devo fare i calcoli della situazione in cui mi trovo, Negan ora mi può offrire protezione, ed è questo che cerco. La sopravvivenza è il mio imperativo categorico. Il mio unico interesse riguarda me stesso e nessun altro“.
La cavia Eugene sembra giunta al termine del suo esperimento ma il finale rimette tutto in discussione. Avrebbe la possibilità di smascherare Dwight davanti a Negan. Ma non lo fa. Non va fino in fondo. Perché? Perché reprimere le emozioni è impossibile. Cerca di schiacciarle, ma queste riemergono. Eugene si ritrova al punto di partenza ancora più dilaniato. Il mondo di Walking Dead è brutale e spietato… e Kirkman continua a divertirsi a tormentare i suoi personaggi.
Formazione prettamente umanistica: dalla triennale in Lettere a Torino alla magistrale in Editoria e giornalismo a Roma. Appassionato di scrittura e cultura... e oramai da anni invischiato nel mondo delle serie tv.