L’Iliade di Omero torna sugli schermi grazie all’interessante adattamento proposto da Netflix e BBC, Troy – La caduta di Troia, una serie che osa senza spingersi oltre il limite. Vediamone i pregi e i difetti in questa recensione.
L’Iliade e la guerra di Troia sono sempre stati temi cari al mondo del cinema. Con la rinascita dei Peplum alla fine degli anni ’50, gli adattamenti furono vari, fino ad arrivare al kolossal cinematografico che tutti conoscono, ovvero Troy di Wolfgang Petersen, uscito nelle sale nell’ormai lontano 2004. Da quel momento, nessuno ha più provato a riadattare il grande poema epico, consci del fatto che superare quel picco fosse impossibile. Ormai era diventato sapere comune e tutti avrebbero confrontato il nuovo adattamento con il colosso di Petersen. Però, quattordici anni dopo, Netflix sfida il tanto temuto sapere comune e cerca di dare la sua libera interpretazione ai versi scritti da Omero. Il risultato è la serie ad otto episodi Troy – La caduta di Troia. Vediamo se la loro visione della guerra di Troia vale la pena di essere vista.
Omero (seguito a ruota da Petersen) non si è propriamente schierato dalla parte dei greci o dei troiani, anche se tende più verso i primi. Di entrambe le fazioni fa vedere le due facce della medaglia, lasciando al lettore l’ardua scelta. Nell’adattamento di Netflix, invece, il punto di vista principale è quello dei troiani. Il protagonista è sicuramente Paride, il cui vero nome è Alessandro, uno pastore che scopre di essere uno dei principi di Troia. Quindi si inizia subito a provare empatia per questa famiglia che si riunisce, che finalmente vive in felicità. Dopodiché accade il fattaccio. Paride viene mandato da Menelao per sanare i rapporti tra i greci e i troiani. Qui incontra Elena, la donna più bella del mondo, nonché moglie di Menelao stesso. Essendogli stata promessa da Afrodite, lui cerca di combattere contro i suoi istinti, ma, accecato dall’amore, la porta con sé a Troia. E da qui inizia la storia che tutti conosciamo. L’unica, grande differenza è che i greci sono decisamente ritratti come i cattivi della situazione. Agamennone è un bruto, un uomo estremamente malvagio. Menelao è un re borioso, dal comportamento estremamente bambinesco e viziato. Gli unici che tentano di portare la ragione nei due sovrani greci sono Odisseo e Achille. Tuttavia, uno è succube dell’influenza di Agamennone e l’altro è vittima del suo stesso orgoglio. D’altro canto, la famiglia di Priamo è vista in modo totalmente opposto. Ettore, Andromaca, Cassandra, Enea. Il loro unico peccato è stato quello di accogliere Elena nella loro città. Di conseguenza, sapere come andrà a finire è straziante. Sai già qual è il destino di questa famiglia e sai che la vittoria non è contemplata. Fino all’ultimo speri abbiano rivisto il finale, lo abbiano cambiato, ma quando vedi che hanno seguito con molta accuratezza le ultime battute del poema, il cuore si sgretola. Questo è esattamente il caso in cui i punti di vista ribaltano completamente la visione.
Uno dei più grandi pregi di Troy – La caduta di Troia è il suo ottimo comparto tecnico. Virtuosismi di macchina di questo genere te li aspetti sul grande schermo, non di certo in una produzione televisiva. Per molti versi ricorda la serie Marco Polo (sempre di Netflix). La fotografia così ricca di contrasti. La regia pregna di ottime trovate per rappresentare al meglio battaglie, dialoghi cruciali o solo interminabili panorami di spiagge, foreste, terre aride. La colonna sonora che si sposa bene con ogni scena, anche se non è sempre brillante. Ma Troy non ha solo pregi. Molti personaggi non vengono sviluppati a dovere. Alcuni elementi della trama sembrano non coincidere o non avere alcuna rilevanza ai fini ultimi della vicenda. La recitazione non è sempre brillante, soprattutto per quanto riguarda l’attrice che interpreta Elena (sembra avere un’unica espressione). Però l’ottima messinscena e il fenomenale comparto tecnico vi invoglieranno a portarla a termine.
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