Wild Wild Country, la nuova docuserie prodotta da Netflix, è un prodotto diverso da tutto ciò a cui ci ha abituato la piattaforma streaming. Probabilmente è la miglior produzione mai creata dal colosso americano.
I documentari vengono sempre messi in secondo piano rispetto al cinema. Tuttavia, sono un genere di questo, proprio come la fantascienza o il noir. Il pubblico, però, li vede come produzioni minori, con un’impronta cinematografica meno marcata e, soprattutto, priva di suspance o accortezze tecniche. Andrebbe fatto, in questo caso, qualche passo indietro. Ai tempi del montaggio sovietico. Quando Vertov creò L’uomo con la macchina da presa per dimostrare la superiorità del documentario sul cinema di finzione. In quel caso il confine tra finzione e realtà era labile. Quasi novant’anni dopo, ci troviamo in una situazione simile. Wild Wild Country è la rivincita del documentario. Ma andiamo a scoprirne il motivo.
Quando la religione diventa culto
I fatti analizzati e riportati da questo Wild Wild Country sono quelli riguardanti il guru Bhagwan Shree Rajneesh (in seguito conosciuto come Osho) e i suoi seguaci che negli anni Ottanta si sono stabiliti nella contea di Wasco, in Oregon, creando Rajneeshpuram, una città enorme per i canoni dei braccianti. Questa nuova religione si basava sull’amore, ma non disdegnava il capitalismo. Ognuno viveva in pace con se stesso e con gli altri discepoli. Gli abitanti della contea, avvinghiati alle loro tradizioni, non erano molto felici dei nuovi vicini, quindi tentarono in tutti i modi di allontanarli. Da quel momento inizia una sorta di guerra di appartenenza e diritto sulla propria libertà. La serie è giustamente raccontata cronologicamente e riesce a creare un pathos non comune a produzioni di questo genere. Il fatto di non condannare né accogliere la causa di Osho aiuta a creare quella dualità tra bene e male, giusto e sbagliato che rende difficile schierarsi dall’una o dall’altra parte. Le interviste sono di quanto più inquietante si possa immaginare. Alcuni degli intervistati a volte sembrano attori professionisti, ma quando torni a realizzare che loro credono veramente a ciò che stanno dicendo, i brividi sono assicurati.
Oltre il documentario
Il lavoro di ricerca che c’è stato dietro a Wild Wild Country è decisamente superiore a quanto mai offerto da Netflix. Non solo perché sono riusciti a trovare una quantità smisurata di filmati di repertorio e documenti ufficiali, ma anche per il modo in cui li hanno inseriti all’interno della narrazione. Generalmente in questi casi, la regia svolge un lavoro quasi superfluo, da supervisore generale, ma qui è tutta un’altra storia. Il documentario diventa quasi un cinema di finzione. Le inquadrature ricercate, la fotografia a dir poco sublime, la colonna sonora d’impatto e la scelta vincente di controbilanciare la verticalità del 4:3 con un ampissimo formato panoramico rendono l’intera serie un gradino sopra le solite produzioni in stile Discovery Channel. Ma a farla da padrone è il montaggio. Nessun elemento presente riesce a superare quest’ultimo in termini di qualità. Filmati di repertorio asettici diventano vere e proprie scene drammatiche. Riprese insignificanti acquisiscono tutto un altro valore. Ed è subito inquietudine, sconforto, scombussolamento. Se non ci fosse stato un montaggio così, molto vicino alla scuola sovietica, agli esperimenti di Kulešov, sarebbe stato un prodotto di alto livello, ma non avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo.
Wild Wild Country
Conclusioni
Wild Wild Country è la miglior produzione che potete trovare al momento su Netflix. Riesce a trasmettere un'inquietudine non comune riguardo la natura umana. Ti domandi quale sia il bene e quale il male. Non riesci a schierarti né dall'una né dall'altra parte. Tutti hanno delle sfumature differenti. Tutti avevano un motivo per comportarsi in quel modo.
Osho era un grande ipnotista. Con quegli occhi vuoti, ma al contempo pieni di vita, riusciva a controllare intere masse. E questa serie fa la stessa cosa. Ti ipnotizza. Ti rende inerme di fronte alla verità. E in quello sguardo noti subito una punta di malvagità. Di pura perfidia. Ma fino a dove siamo disposti a spingerci per trovare noi stessi? "In ognuno di noi c'è un lato oscuro, ma questo non ci rende persone cattive."
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