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Spotify non paga le licenze: 1.6 mld di multa

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Ancora problemi legali per Spotify, la piattaforma per la musica più famosa del mondo: ha rubato alcuni brani musicali e li ha fatti ascoltare senza pagare i diritti

Non c’è pace per la celebre app Spotify, sembra quasi che preferisca pagare cause legali piuttosto che i regolari diritti. Questa volta a farsi sentire l’editore musicale Wixen Music Publishing, titolare esclusivo delle licenze di canzoni di varie band e artisti dai Doors a Neil Young, secondo cui il colosso svedese della musica in streaming avrebbe usato migliaia di brani senza averne i diritti di riproduzione e senza pagare quanto dovuto.

L’applicazione viene trascinata nei guai legali per l’ennesima volta, proprio a maggio dello scorso anno infatti i legali dell’applicazione si sono dovuti accordare per una cifra di 43 milioni di dollari per far fronte a una class action capitanata dagli autori David Lowery e Melissa Ferrick. A luglio invece dovette di nuovo sborsare una valanga di quattrini per riparare alla causa portata avanti dai due editori  Rob Gaudino e Bluewater Music.

Viene naturale pensare che Spotify convenga rimediare ai vari ammanchi direttamente sul tavolo di un legale. Nella denuncia portata avanti da Wixen Music, Spotify, Spotify avrebbe stretto accordi con le principali etichette per ottenere i diritti di registrazione sulle canzoni, senza però riuscire a ottenere i diritti equivalenti per le composizioni. Insomma, una banalissima scorciatoia per “fare prima” e “spendere meno”.  “Di conseguenza” si legge quindi nel documento “Spotify ha costruito un business miliardario sulle spalle degli autori e degli editori la cui musica sta utilizzando, in molti casi senza ottenere e pagare le licenze necessarie”. Parole e accuse durissime che però, almeno per il momento, sembrano verificabili.

Spotify risponde puntando sui cavilli della presentazione sulla denuncia, senza però provare a difendersi sui punti d’accusa principali. Probabilmente certe cifre da capogiro non fanno troppa paura all’App di Stoccolma, beati loro!

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