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Kingdom Come Deliverance – Recensione: La ballata dell'(im)perfezione

Kingdom Come Deliverance è uscito da diverse settimane e ci ha tenuti impegnati per parecchie ore, permettendoci di esplorare a fondo la Boemia di inizio 1400.

L’attesa era tanta. Le aspettative ancora maggiori. Dopo poco meno di centosettanta ore di gioco abbiamo finalmente portato a completamento la campagna principale di Kingdom Come Deliverance. Ad aumentare il numero delle ore non ha contribuito solo la longeva storia, ma anche i vari problemi tecnici che affliggono questo piccolo e mancato capolavoro. Fate incetta di vettovaglie perché sviscereremo questo gioco dalla testa ai piedi, senza incappare in spoiler di sorta.

La brigata dei cliché

Kingdom Come Deliverance vanta una storia lunghissima, che sembra non avere fine. Da un lato questo è un punto a favore, ma si tramuta in un elemento negativo non appena si arriva alla “conclusione”. Nel gioco impersoniamo Henry, un giovincello di campagna, figlio di un fabbro. Insieme al padre, forgia una spada per Sir Radzig, proprietario del feudo nel quale abitano. Dopo l’attacco da parte dell’armata di Sigismondo, fratellastro del Re Venceslao, al feudo dove risiede il ragazzo, la sua famiglia viene uccisa e lui è costretto a fuggire. Questo evento cambierà per sempre la sua vita e lo spingerà a cercare vendetta. Dopo alcune vicissitudini, perderà la spada che aveva forgiato con il padre e che questo gli aveva detto di consegnare a Radzig. Di conseguenza, la storia di Henry continua con la ricerca dell’arma e del carnefice che ha massacrato la sua famiglia. Oltre ad avere una quantità di cliché spropositata, questo poco originale racconto non presenta neanche un finale.

Boemia: 1400 – Quando i finali non erano ancora stati inventati

Dopo una lunghissima avventura, questa non si conclude, rimandandoci a seguiti futuri. Cosa normale per la maggior parte dei giochi, ma almeno in questi sono presenti altri obiettivi che vengono portati a termine con la vicenda raccontata in quel momento. Qui non si risolve assolutamente nulla. Rimane tutto aperto a capitoli futuri. Manca quella componente di completezza dell’opera che è comune a tutti i prodotti d’intrattenimento. E’ come vedere un film e scoprire che, alla fine, ciò che ti hanno raccontato è il prologo per un nuovo capitolo. Quindi dovrai pagare due o, Dio non voglia, tre volte per vedere la conclusione di una storia. Attenzione però, non stiamo parlando di serialità. Queste sono due questioni completamente separate. Portare a termine Kingdom Come Deliverance è come finire i primi cinque capitoli di un libro.

Quindi non è paragonabile a saghe come Harry Potter o simili, perché ogni libro o film della suddetta è accomunato da una sottotrama che si conclude alla fine della saga stessa, ma sono presenti elementi che trovano risoluzione nel ristretto cerchio dell’opera in questione. Per farvi un esempio, nel primo libro di Harry Potter impariamo a conoscere la nemesi principale, ovvero Lord Voldemort, ma alla fine il piccolo Harry lo affronta e lo sconfigge, anche solo momentaneamente. Si chiude, così, il cerchio della storia raccontata nel primo libro, lasciando spazio a trame che si amplieranno in futuro. In Kingdom Come Deliverance è come arrivare fino al momento in cui Harry prende il treno per Hogwarts. Va rimarcato che la storia, a parte i cliché di cui vi abbiamo accennato, rimane comunque perfettamente godibile e presenta anche un buon intreccio. Tuttavia, il finale distrugge completamente l’assuefazione che si crea giocando la trama principale. Rimani semplicemente deluso, anche perché hai speso ore e ore a completare una storia che non ha finale, ma che rimanda ad un capitolo che uscirà chissà tra quanto tempo e che costerà sessanta euro il giorno dell’uscita. Quindi diventano centoventi euro per scoprire come si risolverà almeno una delle quattro linee narrative principali, nessuna delle quali viene conclusa in questo primo capitolo. La domanda allora sorge spontanea:

“Perché far giocare centosettanta ore di campagna senza alcuna risoluzione finale?”

Almeno uno dei punti cardine lo potevano sciogliere, anche solo per dare quel senso di completezza che avrebbe giustificato un così ingente numero di ore di quest principali. Inoltre, le missioni sono un lunghissimo susseguirsi di cavalcate da una cittadina all’altra per riferire, consegnare, chiedere e aiutare. Lungi da noi denigrare queste componenti, tutti elementi che in un gioco di ruolo devono assolutamente essere presenti, anche perché altrimenti non sarebbe più tele. Però potevano eliminare alcuni obiettivi principali “minori” per inserire un finale degno di questo nome.

Talmente reale da sentirlo sulla pelle

Uno degli elementi migliori di questo Kingdom Come Deliverance è indubbiamente l’altissimo tasso di realismo che permea il titolo. Sono presenti centinaia di variabili che aggiungono una profondità al gioco raramente sperimentata in un prodotto videoludico di questo livello. Tralasciando le classiche statistiche di sazietà e stanchezza, nonché il vigore, troviamo parametri per lo sporco, elemento che influirà sulle conversazioni che intraprenderemo con altri personaggi; l’efficacia delle armi, che dovremo costantemente affilare alla mola o far riparare da un fabbro; i metodi di contrattazione, che influiranno sulla nostra fedeltà verso l’interlocutore; la taglia in diverse regioni e la reputazione in esse, che affliggerà l’efficacia delle nostre richieste a cittadini di quel luogo. Il sistema di combattimento è audace e innovativo, impegna molto e sono necessarie diverse ore di pratica (con il joypad o con mouse e tastiera) prima di iniziare a capire come mandare a segno dei fendenti o delle stoccate. Altamente sconsigliato, invece, usare l’arco a causa di una troppo elevata casualità della traiettoria, soprattutto agli inizi. Non ci sono riferimenti che ti aiutino a capire il punto esatto verso il quale stai scoccando. Per non parlare del modo con cui il protagonista imbraccia l’arco, distante dal volto come negli FPS quando si spara senza puntare con il mirino (e questo ve lo dice una persona che possiede un diploma di tiro con l’arco). Anche salendo di livello la storia non cambia. La nostra mano sarà sempre troppo tremolante per prendere compostamente la mira e, anche se si gioca di predizione, la freccia si dirige in tutt’altra direzione.

Presente anche un sistema di borseggio e uno di scasso. Entrambi sono estremamente difficili e raramente avremo successo con essi, premiandoci la maggior parte delle volte con guardie armate pronte a rinchiuderci in gattabuia per diversi giorni, interminabili con il sistema di avanzamento del tempo. La reclusione durerà, infatti, circa dieci giorni nel gioco, a seconda del crimine, e almeno cinque minuti in quello reale, durante i quali tutto ciò che potremo fare è guardare la ghiera delle ore ruotare lentamente fino alla fine della pena. Questo metodo è usato anche per attendere, per dormire o per viaggiare “rapidamente”. Quest’ultimo è un fardello con il quale ci troveremo faccia a faccia innumerevoli volte. Il viaggio rapido consiste nel seguire sulla mappa di gioco il nostro personaggio che marcia fino al luogo designato. Tragitto durante il quale potremmo cadere vittima di un’imboscata o incontrare vagabondi in cerca di aiuto. Questo “viaggio rapido” dura qualche minuto, a seconda della distanza dell’obiettivo. Un elemento che incontra realtà e finzione, ma che, con il tempo, inizia a stufare. Ciò ci spinge a spostarci a cavallo, cosa che farà passare le giornate molto meno velocemente e, di conseguenza, ridurrà la velocità di abbassamento delle statistiche (cibo, sonno ecc.). Il punto forte del gioco, però, è il fatto che si possa essere qualunque tipo di persona. Possiamo intraprendere la vita del cavaliere, del ladro, dell’assassino, del monaco o persino quella del giocatore d’azzardo. Ci si può sostenere con qualunque lavoro che dia dei profitti e proseguire nel gioco cercando di essere diplomatici o combattenti senza scrupoli. Sembra quasi il sogno di ogni videogiocatore, però aspettate ad eccitarvi. Infatti, al gioco importa relativamente lo stile di vita che assumete. A volte sarà cruciale, altre non verrà neanche preso in considerazione. Perché questo? La risposta è semplice. Il gioco ha così tanti problemi tecnici che la loro causa è incerta e ogni volta casuale. Ma andiamo con ordine.

La lenta e agonizzante morte della tecnica

Kingdom Come Deliverance (almeno su Playstation) è un crogiolo di bug e glitch, la maggior parte delle volte fatali. Riprendendo la questione delle interazioni tra personaggi, non è prevedibile capire quando il gioco si bugga o quando ci sta per andare vicino. Semplicemente, dopo pochi minuto troverete un personaggio che non vi darà la quest, o che non vi permetterà di uscire da un dialogo in alcun modo o, peggio ancora, con cui riuscite a parlare, ma che non vi segnalerà la missione come portata a termine. Tutte queste belle situazioni vi costringeranno a ricaricare il salvataggio precedente, che il 99% delle volte è di venti minuti prima dell’infausta situazione. Questo perché i salvataggi sono anch’essi casuali. Inizialmente, il gioco riferisce che portando a termine una quest principale, un obiettivo molto importante di essa, uscendo dal gioco (cosa che non è possibile fare in quanto non esiste un menu iniziale e chiudere l’applicazione ricaricherà l’ultimo salvataggio esistente) o dormendo, la partita verrà salvata. Mai sentenza fu più lontana dalla realtà.

Quando si dorme, infatti, la partita a volte viene salvata e altre volte no, anche se si superano le ore cerchiate d’oro (cosa che inizialmente ci aveva fatto pensare agli orari in cui si attiva il salvataggio della partita), mentre durante le missioni la partita viene salvata a seconda del destino riservato al singolo giocatore. Per fare una prova abbiamo ricaricato un salvataggio precedente ad un punto cruciale dove non era stata salvata la partita e, magicamente, al nostro ritorno in quel punto la partita si è salvata. Mai ci era capitata una cosa (perché non sappiamo in che altro modo chiamarla) del genere in un videogioco. Se si vuole avere il controllo totale, bisogna comprare dai mercanti la “grappa del salvatore”, prodotto anche parecchio dispendioso, che permetterà di salvare in automatico dal menu di pausa. Solo così avremo la certezza di non dover ripetere quaranta minuti di gioco a causa di qualche crash improvviso o bug fatale. La lista di questi ultimi è talmente lunga che abbiamo deciso di fare un video che verrà pubblicato a breve sul nostro canale Youtube contenente tutti quelli che abbiamo incontrato durante la nostra avventura. Per darvi un piccolo assaggio, si parla di cose innocue come cavalli che si bloccano a mezza’aria davanti alle staccionate o piani invisibili che ci sopraelevano e permettono di martoriare i nostri avversari dall’alto, fino ad arrivare a fendenti nemici che ci spediscono nella stratosfera e uomini uccisi dalla nostra spada che tornano in vita senza il minimo ricordo delle nostre azioni, per non parlare delle molteplici volte in cui bisogna ricaricare salvataggi precedenti di tre ore per ricominciare una missione che non viene portata a termine, complice una cutscene che ha deciso di non partire.

Kingdom Come Deliverance rappresenta la vallata della scarsa ottimizzazione, un territorio fin troppo popolato ultimamente nel mondo videoludico.

Vicino al letame cresce sempre un giusquiamo

Il titolo (per pochi) di questo paragrafo è la sintesi del gioco. La sua disastrosa performance tecnica è inversamente proporzionale alla cura artistica. Il mondo creato da Warhorse Studios è vibrante e pieno di vita. Ogni personaggio non giocante ha la sua routine e le sue abitudini. Il giorno e la notte cambiano radicalmente l’atmosfera di gioco. Poi l’intero panorama, dalle praterie ai boschi, fino ai feudi sono estremamente curati e realistici. Gli affreschi che adornano le pareti delle chiese, ma anche la rappresentazione della mappa di gioco sono senza dubbio magnifici e ricordano in tutto e per tutto l’arte del Basso Medioevo. Lo stile artistico è uno dei più ispirati e rifiniti degli ultimi anni. L’attenzione posta nelle maniere, negli abiti, nelle architetture è semplicemente perfetto. Inoltre, il titolo graficamente è molto gradevole, eccezione fatta per quei momenti di caricamento delle texture al nostro arrivo nei luoghi più affollati. Inoltre, i fotogrammi sono tutto fuorché stabili. Molto spesso, se si procede ad una velocità elevata, soprattutto a cavallo, scendono anche sotto i quindici e, se forzata troppo la mano, portano inevitabilmente al crash del gioco e al caricamento dell’ultimo salvataggio di gioco (cosa poco gradita una volta arrivati alla conclusione del combattimento finale). La colonna sonora, al contrario, è qualcosa di straordinario. Sono presenti delle tracce che farebbero tremare le migliori produzioni cinematografiche. Il sonoro, poi, è sublime, complice il campionamento di suoni reali provenienti da spade e armature. Un comparto artistico che, molto spesso, fa dimenticare la sciatteria tecnica. Ma non temete: questa sensazione non dura più di qualche secondo.

Kingdom Come Deliverance
6.8 Reviewer
0 Users (0 voti)
Pro
Il meraviglioso comparto artistico
Il commento musicale estremamente calzante
Il sonoro cristallino e realistico
Alcuni elementi del sistema di combattimento
I vari intrecci della storia
La vastità del mondo di gioco e la sua vitalità
La libertà di scelta
Contro
Il catastrofico comparto tecnico (su PlayStation 4/Pro)
La pessima gestione dei salvataggi
I bug che affliggono ogni singolo elemento del gioco, dal combattimento all'esplorazione, fino ad arrivare allo svolgimento delle missioni
I troppi crash
I caricamenti infiniti, anche solo per iniziare un normale dialogo
I cliché e il finale per nulla gratificante della storia
La "deficienza artificiale" fedele ad ogni prodotto videoludico, ma moltiplicata per mille
Conclusioni
Kingdom Come Deliverance è un gioco rotto, incompleto e frustrante. Però rimane un capolavoro. Perché un gioco così grande creato da uno studio così ristretto è un vero e proprio miracolo. La profondità del gameplay è dieci anni più avanti a qualunque gioco uscito ultimamente. Insomma, un gioco che riesce ad intrattenere e sprona ad andare avanti per due settimane consecutive, senza sosta, non può essere un pessimo gioco. Deve essere qualcosa di più. Dobbiamo ammettere che abbiamo più volte pensato di lasciare perdere, ma qualcosa ci richiamava ad esso. Dovevamo vedere come andava a finire. Quale fosse la conclusione di un gioco così mal costruito da far sbellicare dalle risate in certi frangenti. Forse era meglio non scoprire il finale, visto che ha affossato completamente la storia, però siamo stati soddisfatti di averlo completato. Perché ora sappiamo che possiamo esplorare quel fantastico mondo senza pensare ad inutili commissioni imposte da qualche nobile. Possiamo addentrarci in ogni singolo antro di quella Boemia che ci ha fatto divertire e infuriare. Possiamo finalmente rilassarci e goderci la vita medievale, magari in una taverna, ma fate attenzione alla birra. In men che non si dica potreste ritrovarvi in alto, sospesi nel cielo stellato del Basso Medioevo, già pronti per ricaricare l'ultimo salvataggio.
Trama
Gameplay
Comparto Tecnico
Sonoro
Comparto Artistico
Colonna Sonora
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Mattia Pescitelli

Tenace adoratore del mezzo cinematografico, cerco sempre un punto di vista fotografico in tutto ciò che mi circonda. Videogiochi, serie televisive, pellicole cinematografiche. Nulla sfugge al mio imparziale giudizio.

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Mattia Pescitelli

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