La recensione del film “Ultras”
Nella giornata di venerdì 20 marzo, il catalogo filmatografico di Netflix si è arricchito della presenza di “Ultras”, l’ultima fatica di Francesco Lettieri, che dopo la direzione di numerosissimi videoclip musicali di artisti come Liberato (presente anche nella colonna sonora), Calcutta, Noyz Narcos, Carl Brave x Franco 126 ed Emis Killa, prova ad entrare nel mondo del cinema passando dalla porta principale, con una regia che prova a descrivere il complicato – e spesso contraddittorio – mondo degli ultras.
Due mondi vicini, ma distanti
La trama di “Ultras” si svolge attorno alle vite dei due personaggi principali: quelle di Sandro, cinquantenne soprannominato “Mohicano” (Aniello Arena) e leader del gruppo di tifo organizzato “Apache”; e Angelo (Ciro Nacca), adolescente che ha come massima aspirazione, quella di diventare proprio come Sandro, che nel tempo libero prova a prendersi cura del ragazzo. Ed è proprio questo uno dei punti cardine della pellicola: mentre Sandro si chiede se ne vale davvero la pena di rimanere nell’ambiente ultras alla sua età, Sandro in quel mondo ci sta entrando passo dopo passo, vorrebbe finalmente diventare un ultras a tutti gli effetti.
E per consacrare il suo ingresso in un mondo spesso contraddittorio – caratteristica che il regista prova a rimarcare con un paio di sequenze ben ingegniate – l’occasione perfetta arriva all’ultima giornata di campionato, che vede il Napoli (il club partenopeo in realtà viene nominato solamente in maniera indiretta) giocarsi un ipotetico scudetto all’ultimo respiro.
Il branco
Nonostante il titolo più che esplicativo, l’opera di Lettieri riesce a raccontare ben poco del tifo organizzato. Il mondo ultras infatti, si presta solamente come sfondo per raccontare le storie di Sandro e Angelo, cosi come si prestano le crude e spettacolari ambientazioni scelte in maniera eccellente: dai quartieri popolari della città, ai bellissimi scorci dell’isola di Ischia, tutto si mischia nell’intento di mostrarci “il bello e il brutto”, il “giusto e il sbagliato”.
Il ruolo marginale più importante, spetta però al gruppo degli “Apache”, che oltre ad essere la cosa più vicina – ma comunque troppo lontana – alla rappresentazione del mondo ultras, avrà il compito di ricordare a Sandro, le sue origini. Perchè il concetto assimilabile dopo 1 ora e 40 minuti di pellicola, è che quello dell’ultras è un marchio che non ci si può togliere di dosso a proprio piacimento.
Un salto nel vuoto
Una volta che Lettieri riesce a chiarire allo spettatore le posizioni dei due protagonisti principali – cosa che gli riesce in maniera stupenda, oltretutto – ecco che iniziano i problemi. Perchè se dopo la morte del fratello di Angelo per via di uno scontro tra tifosi, Sandro proverà a tenere l’adolescente lontano dalla violenza, quando quest’ultimo perderà la testa per via dell’amore, all’improvviso Angelo perderà il controllo di se stesso, diventando, senza volerlo davvero, il motivo che scatena uno scontro generazionale che sarebbe stato comunque inevitabile, e che scena dopo scena, stava iniziando a prendere sempre più piede.
E in questo scontro, che vede da una parte i senatori del gruppo “Apache” e i nuovi leader “Pechegno” (Simone Borrelli) e “Gabbiano” (Daniele Vicorito), Sandro sarà l’ago della bilancia, in un finale che sì prova a mostrarci le sfumature intime e personali che ci sono dietro a un potenziale appartenente al mondo ultras, ma che si perde su stesso, compiendo un vero e proprio salto nel vuoto.
Giudizio finale
Quello di Francesco Lettieri nel mondo del cinema. è un esordio amaro. Amaro perchè “Ultras”, nonostante le buone intenzioni, finisce subito – e spesso – fuori tema, offrendo sul piatto spunti di riflessione interessanti (il conflitto spirituale di Sandro e la brama di potere che muove il personaggio di Angelo) ma che vengono mal gestiti, sopratutto quando c’è da orchestrare un finale che, se progettato in maniera completamente differende, forse avrebbe potuto lasciare il segno.
Ma così non è stato, e il racconto delle vite del “Mohicano”, leader degli Apache, e di quel ragazzo che vede proprio in Sandro l’unica figura genitoriale della sua vita, si perde in un mare di stereotipi, come quello che a nostro avviso, va a incidere in maniera negativa sul finale. A conti fatti dunque, ci troviamo davanti a un’idea difficile da realizzare, sicuramente ambiziosa, ma che non giustifica un fallimento”spettacolare” nel mero senso del termine: “Ultras” infatti, non è un prodotto scadente, è solo un qualcosa di bello, che però non è riuscito a svolgere il compito che si era prefissato ad inizio lezione.
Fonte immagine: www.chiamarsibomber.com