Serie TV

5 Ragioni per guardare The Man in the High Castle

Ancora di nicchia e sottovalutata, The Man in the high castle è al momento una delle serie tv più intriganti e di affascinante spessore del panorama seriale statunitense. Prossimi ormai al rilascio della terza stagione sulla piattaforma streaming Prime Video, vi ricordiamo le 5 ragioni principali per cui vale davvero la pena recuperare The Man in the high castle.

Quando le pagine dei libri di storia sembrano non bastare, quando il passato fallisce nel suo intento di divenire insegnante e monito per il futuro, l’oscura immaginazione della distopia porta in scena le peggiori conseguenze degli errori umani, rivelandoci in anteprima l’inevitabile esito che la recidività delle nostre azioni alla fine comporterà.

Serie tv definita, sorprendente e compiuta in ogni dettaglio, The man in the high castle presenta un fascino e una particolarità unici e originali in un periodo in cui la serialità sembra intrappolata in un loop di standardizzazione e ostinato recupero dei fasti del passato. Debolmente considerata dalla critica, The man in the high castle è una serie tv che merita più attenzione di quanta ne riceva, oggi più che mai, e cercando dunque di fare ammenda a questo torto, vi presentiamo le 5 ragioni più importanti per cui vale la pena guardare The man in the high castle e magari imparare da esso.

1. The man in the high castle: il connubio tra storia riscritta e sci-fi

Una delle particolarità più caratteristiche che definiscono la straordinaria originalità della serie Amazon The man in the high castle riguarda la sua idea di partenza e il genere entro cui ha scelto di svilupparsi. All’evidente, oscura e angosciante componente distopica che vede gli Stati Uniti d’America (e inevitabilmente il resto del mondo) governati dai totalitarismi perpetrati dalla potenza nipponica e dal reich nazista, The man in the high castle associa contro ogni aspettativa una sottile ma crescente componente sci-fi, rappresentata nella serie dalla realizzazione del multi-universo, introdotto nelle prime due stagioni attraverso i filmati che documentano e testimoniano le realtà parallele a quella vissuta dai protagonisti.

Il merito evidente e innegabile di The man in the high castle da questo punto di vista sta non soltanto nell’aver amalgamato con incredibile maestria narrativa due generi che potevano apparire inconciliabili, ma soprattutto nell’aver abbracciato un ritmo equilibrato ed ordinato per il raggiungimento di questo obiettivo, apparendo in questo modo realistico e concreto anche nei dettagli più astratti della storia.

Se per le prime due stagioni infatti è stata la componente distopica a dettare le direttive della serie, sarà proprio nella terza stagione che The man in the high castle svilupperà maggiormente la realtà sci-fi della sua storia, aprendosi finalmente alla realizzazione del multi-universo e alla possibilità evidente di poter viaggiare tra i diversi mondi, possibilità per ora riservata solo al ministro Tagomi.

2. The man in the high castle: il fascino della distopia

E per quanto la componente sci-fi di The man in the high castle intrighi in maniera costante e sottile proprio per la parsimonia con cui è stata trattata, la realizzazione della distopia storica rimane uno degli aspetti più intensi, originali e brillanti della serie. La realtà statunitense degli anni ’60 portata in scena da The man in the high castle riesce a raggelare per il grigiore da cui è pervasa e proietta una sensazione d’angoscia quasi ordinaria, come se fosse ormai così assimilata da far quasi dimenticare un passato in cui non sia stata presente e di certo esclude la possibilità di un futuro in cui possa svanire.

La suddivisione degli Stati Uniti tra l’impero giapponese e il Reich nazista di matrice tedesca presenta in The man in the high castle una caratterizzazione precisa e affascinante paradossalmente proprio per questa asfissiante oscurità che si respira, e se la fascia occidentale che si affaccia sul Pacifico è stata totalmente inglobata dalla predominante cultura nipponica annullando completamente l’identità statunitense e imponendo lo stile di vita giapponese, quasi come la realizzazione di una rivalsa e di una dimostrazione di potere, la zona orientale occupata dal Greater Nazi Reich presenta nella sua quotidianità tutti gli elementi più tradizionali della cultura americana degli anni ’60, dalla moda al lifestyle, questa volta però pervasi dall’ideologia nazista.

È degna di nota quindi l’attenzione con cui The man in the high castle ha curato l’aspetto distopico della sua storia, riuscendo infatti ad immaginare perfettamente il modo in cui le potenze dell’Asse si sarebbero rapportate con gli Stati Uniti in caso di vittoria del conflitto mondiale, tra l’imposizione della cultura e della società giapponese e l’accomodamento del potere nazista nella quotidianità statunitense.

3. The man in the high castle: la rappresentazione tridimensionale del Nazismo

The man in the high castle è riuscito ad attuare un obiettivo difficile anche solo da immaginare: “umanizzare” ciò che di più disumano sia mai esistito, l’ideologia nazista. Ma attenzione: lungi dal concedere anche solo una minima apologia alle azioni ingiustificabili del nazismo, ciò che The man in the high castle ha fatto in realtà è stato proprio evidenziare quanto un tale credo possa facilmente affascinare e corrompere le menti, quanto sappia persuadere e distorcere la realtà al punto da trovare una giustificazione anche alle azioni più terribili ma soprattutto ha donato insolito spessore umano e tridimensionalità a un’ideologia che viene vissuta diversamente a seconda del protagonista.

 

Se Rudolph Wegener infatti diventa l’emblema di un senso di colpa lacerante e distruttivo che lo attanaglia costantemente e che lo allontana dall’ideologia e dalle azioni compiute spingendolo a cercare un’illusoria possibilità di fare ammenda, e Reinhard Heydrich (figura storica realmente esistita) rappresenta invece il simbolo della disumanità radicata del nazismo, è il personaggio di John Smith a presentare tutte quelle tridimensionali sfumature di caratterizzazione che rendono la scrittura di The man in the high castle un piccolo capolavoro della serialità moderna.

Strategico e spietato alto ufficiale del Reich stanziato in America, in The man in the high castle John Smith riesce a confermare e mettere in discussione contemporaneamente tutti gli elementi più tradizionali alla base dell’ideologia nazista e se da una parte la sua lealtà al partito e al credo appaiono incrollabili e alimentati anche dal tipico patriottismo americano adesso rivolto alla madre patria tedesca, dall’altra la priorità indiscussa per John è ancora e sempre la sua famiglia, una moglie che ama e soprattutto rispetta al punto da condividere con lei ogni oscuro segreto e dei figli per cui sarebbe disposto a dimenticare ogni ideologia. John Smith rappresenta per The man in the high castle il personaggio che più di chiunque altro sfuma i contrasti primordiali e trova il suo spazio deciso in una caratterizzazione difficile da definire.

4. The man in the high castle: Juliana Crain

Juliana Crain merita in questa trattazione una ragione tutta sua per guardare The man in the high castle. Protagonista in costante crescita, figura affascinante ed elegante, punto d’incontro delle due anime della serie e cardine intorno a cui ruotano tutti i maggiori personaggi della sua realtà, Juliana Crain è una donna che sembra quasi riuscire ad esulare da ogni tipo di schieramento politico e morale, facendo dell’umanità il suo unico metro di giudizio.

Ruolo chiave in una guerra di cui non si scorgono ancora i confini, Juliana Crain è l’unica costante del mondo di The man in the high castle, l’unica personalità in grado di riaffermarsi nella sua stabilità in ogni realtà, l’unico esempio di radicata umanità in grado di emergere sia dalla distopia storica che dalla componente sci-fi della serie, per impostare una chiave di lettura che esula da ogni genere. Juliana Crain è una donna determinata, testarda, fiduciosa a volte anche troppo, ma è proprio quella fiducia che lascia ancora accesa nella sua realtà una fioca speranza di libertà. In The man in the high castle tutto comincia e finisce con Juliana Crain perché il suo è l’unico sguardo capace di vedere oltre un simbolo, un’ideologia e i confini invalicabili di un destino che sembra già scritto.

5. The man in the high castle: l’ensemble

In definitiva, The man in the high castle è una serie che eccelle in ogni sua componente: dalla sceneggiatura alla fotografia, dalla regia a un cast che non fallisce in nessun frangente, per convogliare infine in un risultato finale in armonia con tutte le sue parti.

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Rita Ricchiuti

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Rita Ricchiuti

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