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Altered Carbon – Recensione: Spunti creativi e tratti stilistici

Siamo finalmente riusciti a terminare Altered Carbon, nuova serie originale Netflix dal forte impianto futuristico. Tiriamo le somme su uno dei prodotti più ambiziosi della famosa piattaforma streaming.

Già dalle prime informazioni ci si aspettava una gran serie, ma con i primi trailer le aspettative si sono alzate a dismisura. Altered Carbon, alla fine, è veramente il capolavoro che tutti già inneggiavano? Scopriamolo in questa recensione.

L’immortalità secondo Netflix

Altered Carbon è una serie mastodontica, molto ambiziosa ed estremamente commerciale. Il tema del futuro distopico è centrale. In un mondo governato da individui che hanno libero accesso all’immortalità, dove delle “pile” contenenti la coscienza delle persone vengono innestate all’infinito in nuovi corpi (chiamati “custodie”), troviamo Takeshi Kovacs (Joel Kinnaman), terrorista messo “sotto ghiaccio” per 250 anni e “riportato in vita” in un’altro corpo per risolvere la misteriosa morte di Laurens Bancroft (James Purefoy), uno dei volti più influenti della metropoli di Bay City. A commissionargli l’incarico è stato lo stesso Bancroft, vivo grazie al costosissimo backup della sua memoria, ma all’oscuro degli eventi accaduti le quarantotto ore prima della sua morte.

La storia che si viene a creare, piena di intrecci e labirinti narrativi, è affascinante e ben scritta. Ciò che sorprende è il fatto che, alla fine, il mistero non è poi così complesso o ricco di colpi di scena come ti fanno credere per tutta la stagione. Ti spingono a pensare mille teorie quando alla fine la verità è, se vogliamo, banale. Questo non è assolutamente un’aspetto negativo, anzi. Significa che la sceneggiatura è scritta talmente bene da portare lo spettatore su mille strade diverse, tranne che su quella giusta. Inoltre, dopo la metà della stagione (composta da dieci episodi) la storia prende una piega totalmente diversa, fino ad un epilogo decisamente all’altezza dell’intera serie. Piccolo appunto negativo riguardo alcuni personaggi secondari, non abbastanza approfonditi, e delle piccole sezioni della storia raccontate in modo superficiale e frettoloso. Kinnaman nei panni di Takeshi convince e stupisce. Il suo sguardo vacuo. L’espressione seria e impassibile. La freddezza dei suoi modi. Tutti questi elementi contribuiscono a creare un personaggio ambiguo e indecifrabile che cerca in ogni modo di non far trasparire le sue emozioni.

Il sottile confine

Tecnicamente questa serie è una delle più avanzate nel settore. Non solo per gli effetti visivi da blockbuster hollywoodiano, ma anche per una regia innovativa, alla continua ricerca di nuovi punti di vista. Questa sfrutta praticamente ogni stratagemma visivo mai sperimentato, fino a spingersi verso nuove frontiere. Vengono usati grandangoli, tele-obbiettivi, ma anche telecamere a 360°. Si passa costantemente da camera a mano a camera fissa. I virtuosismi sono innumerevoli, ma non mancano anche le tradizionali regole cinematografiche. Tutte queste tecniche, però, non sarebbero state così d’impatto se non fosse stato per la fotografia. Luminosa e sgargiante, si basa tutta sui contrasti provenienti dalle moltitudini di luci al neon che inondano le strade e si riflettono sulle superfici bagnate. La colonna sonora aiuta ad entrare in questo mondo distopico pregno di corruzione e terrore, accompagnando lo spettatore. Ci sono alcuni difetti nel comparto sonoro, soprattutto verso la fine delle puntate, dove il contributo musicale viene fatto dissolvere in modo rozzo per lasciare spazio ai titoli di coda. Inoltre, impossibile non fare un paragone con Blade Runner. Il cult cinematografico ha in comune con la serie molti elementi. Dalla metropoli futuristica perennemente inondata dalla pioggia, fino alle macchine volanti e alle pubblicità olografiche. Tutti elementi presenti nella maggior parte delle produzioni distopiche, figlie del film di Ridley Scott. Tralasciando qualche piccola caduta stilistica, la serie è unica nel suo genere.  A tratti sembra di star guardando un lungometraggio destinato alle sale cinematografiche piuttosto che una produzione televisiva.

Altered Carbon
8.5 Reviewer
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Pro
Il mondo distopico che sono riusciti a creare
Il comparto tecnico da produzione cinematografica
L'interpretazione di Joel Kinnaman
La piega che prende la serie verso metà stagione
Contro
Alcune cadute stilistiche
La superficialità con cui vengono trattati alcuni elementi della storia
Conclusioni
Altered Carbon è sicuramente il prodotto più maturo e promettente che ha al momento Netflix. Una commistione perfetta tra Blade Runner e Ghost In The Shell. Unica differenza è la parte filosofica, qui sostituita da una più tangibile moralità. La serie studia continuamente le ripercussioni che avrebbe l'immortalità sull'uomo. Si verrebbero a creare veri e propri mostri, annoiati dalla vita che ormai non ha più nulla da offrirgli. Inoltre, viene fatto un continuo richiamo alle ripercussioni di questi scambi corporali sull'identità umana. Bambini che vengono innestati in corpi adulti. Donne in quelli di uomini e viceversa. Questo distruggerebbe completamente l'integrità dell'individuo, spingendolo ad accettare con il tempo la sua condizione. Si verrebbe a creare, così, un mondo privo di identità, dominato da chi può essere tutto ciò che vuole e chi non ha scelta se non accettare ciò che rimane disponibile. Un mondo governato da veri dei, immortali, annoiati, che scrutano dall'alto dell'Olimpo la Terra sottostante, abitata da volti ogni giorno diversi. Bugiardi, truffatori che cercano di ingannare loro stessi convincendosi di vivere in eterno, quando in realtà sono morti con la loro identità.
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Mattia Pescitelli

Tenace adoratore del mezzo cinematografico, cerco sempre un punto di vista fotografico in tutto ciò che mi circonda. Videogiochi, serie televisive, pellicole cinematografiche. Nulla sfugge al mio imparziale giudizio.

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Mattia Pescitelli

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