Black Mirror è una di quelle serie che da sempre ha messo in luce le incoerenze contemporanee della razza umana, estremizzandole tramite uno stile spiazzante che raggiunge picchi d’eccesso profondamente significativi.
In questi giorni si è parlato molto della quinta stagione, di quello che sarebbe stata, di quello che sarebbe potuta essere, molte le aspettative e le speculazioni a riguardo, pochi i dettagli.
Black Mirror 5 si snoda lungo tre episodi della durata di un’ora o poco più, tre storie con intenti narrativi ben precisi, e messaggi che mirano a dipingere l’essere umano nelle sue sfumature più fragili.
Nel primo episodio, dal titolo Striking Vipers, vediamo due protagonisti nell’evolversi della loro vita. La crescita ed il cambiamento sono il carburante a muovere gli sviluppi primari. Il passaggio dalla “giovinezza”, dalla spensieratezza, all’età adulta costruisce due punti di vista ben definiti: da un lato abbiamo una vita più “borghese”, lontana dai fumi e dai rumori della città, nella tranquillità familiare di una casetta in zona residenziale (Danny), con tutto quello che ne implica, dall’altra un appartamento in città, una ragazza giovane ogni sera (Karl). Proprio l’introduzione a questi due stili di vita funge da trampolino di lancio per una storia che va ben oltre le loro precedenti scelte.
Danny e Karl si conoscono da una vita e a legarli sono i ricordi al passato, stessi ricordi che conducono quest’ultimo a regalare all’amico un videogioco con cui si divertivano anni prima. Adesso però la tecnologia si è evoluta e con essa anche l’interazione, trasportando l’esperienza verso un’immersione “totale”. E’ proprio nel bel mezzo della loro prima partita insieme, con la realtà virtuale, che Black Mirror mischia le carte in tavola portando a galla qualcosa di inaspettato.
Quello che avrebbe dovuto essere un picchiaduro si trasforma in un luogo di incontri clandestino. I due cominciano a volersi, filtrando l’esperienza attraverso le possibilità che il gioco gli consente. Ecco che le certezze si rompono trascinando tutto su un piano inedito, trasformando la loro amicizia in qualcos’altro…
Interessante la riflessione sul “ruolo”, la quale compare fin dalla primissima scena, e sul concetto di amore totalmente trasformato tramite l’esperienza online.
Smiththereens, questo il nome de secondo episodio di Black Mirror 5, invece si muove su binari del tutto differenti. In questo episodio ci troviamo invischiati nella parabola discendente di un “autista” che, inspiegabilmente decide di rapire il dipendente di un’azienda legata ad un importantissimo social media. Nelle prime scene ci viene introdotto immediatamente il tema della “perdita” legato ai ricordi su internet, all’impronta umana digitale a costruire ombre emotive.
Il protagonista, interpretato da un magistrale Andrew Scott (precedentemente visto in serie come Sherlock), riesce, in maniera molto grottesca, a rapire uno stagista della suddetta compagnia, rivelando che il suo unico intento è quello di parlare con l’attuale proprietario.
Questo episodio preme moltissimo sull’impatto che i social media hanno sulla nostra vita, sul loro potere nell’ambito delle informazioni e sulla dipendenza che potrebbero innescare. Proprio attraverso questa forte critica viene messa in scena la tragedia personale del protagonista, un uomo distrutto, fragile e incompreso fino alla fine, nella noncuranza generale che le persone danno alla vita e alle informazioni di tutti i giorni.
In Rachel Jack e Ashley Too Black Mirror 5 preme moltissimo sul tema dell‘Industria Culturale e su quello della “Mercificazione musicale”.
Abbiamo due storie qui, legate da piccoli dettagli. Da un lato un’adolescente piena di sogni e dall’altro una cantante (interpretata da un’ottima Miley Cyrus) imprigionata nell’immagine consumistica che il suo manager le ha costruito intorno.
L’episodio ruota si sviluppa proprio su questo, evidenziando temi come quello del denaro e dei limiti che il mercato musicale può arrivare a distruggere pur di continuare a guadagnare. Curiosamente l’interpretazione e il ruolo di Miley potrebbero tranquillamente ricollegarsi alla sua stessa vita, oppure riportando sullo schermo modelli di un passato non troppo remoto come Britney Spears.
La storia colpisce tramite il contrasto “umano” contro “carriera”, spingendosi oltre nel rappresentare la pressione che il denaro può arrivare a esercitare sull’arte e sulla vita stessa degli artisti. La trama non raggiunge, qui, picchi troppo innovativi, mettendo in scena una trama dalle caratteristiche già affrontate in passato, tramite uno stile che si lancia a capofitto nei canoni dell’assurdo.
Questa quinta stagione di Black Mirror si presenta dunque attraverso tre linee ben definite, anche se, in un certo qual modo, distanti dalla crudezza a cui la serie ci ha abituati in questi anni. Nulla da dire sulla resa tecnica generale e sulle varie interpretazioni.
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Conclusioni
Black Mirror si conferma forte negli intenti e nel messaggio ma debole nella resa narrativa. La qualità generale conferma la ricercatezza e la cura, senza troppo osare...
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