Il secondo episodio dell’undicesima stagione di Doctor Who riconferma i tratti caratteristici del nuovo volto della serie e dei protagonisti presentati nella première, ne riafferma gli obiettivi e gli strumenti utilizzati per raggiungerli e infine termina il suo quadro inaugurale con gli ultimi, indispensabili elementi che mancavano al primo episodio e che adesso riportano il Dottore a casa.
“The Ghost Monument”, il secondo episodio della nuova era di Doctor Who, stabilizza la rinnovata anima della serie, si dimostra perfettamente idoneo all’atmosfera più avventurosa e sci-fi tipica dello show e risponde alle esigenze e agli obiettivi di partenza con cui questa fase è stata presentata e inaugurata nella première. Pur affermandosi nella sua rivoluzionaria novità, Doctor Who sembra anche intenzionato a riprendere alcuni degli elementi primordiali che hanno accompagnato le origini di questa storia, come l’aspetto chiaramente educativo di alcuni punti nella trama o il diffuso senso di famiglia che si è respirato in questo contesto e che ha costituito una sorta di leitmotiv che ha permesso di unire le singole esperienze dei personaggi.
Doctor Who comincia a mettere radici e così facendo mostra con più convinzione i suoi innovativi punti di forza e quegli aspetti che invece costituiscono ancora dei dubbi, delle perplessità da risolvere o da contestualizzare in un quadro complessivo che adesso non abbiamo. Cerchiamo di distinguere gli uni dagli altri.
Doctor Who 11×02: La strada di casa
La storia che questo secondo episodio di Doctor Who porta in scena si rivela lineare e costante per tutta la sua durata, è una storia che sposa impeccabilmente lo stile più autentico delle prime fasi di una stagione e che rispetta l’atmosfera che si respira solitamente nella prima vera avventura del team TARDIS fuori dai confini terrestri e senza un attuale TARDIS con cui viaggiare. Ma si tratta anche di una storia che imposta un percorso che si presenta come un’ultima tappa sulla strada di casa, un concetto che appare differente per tutti i protagonisti di Doctor Who che accettano di compierlo in questo contesto.
Lo sfondo che Doctor Who offre e in cui questo percorso inizia o si conclude, a seconda proprio dei punti di vista, è un pianeta il cui nome, “Desolation”, appare in determinati momenti come lo specchio dell’animo dei suoi unici abitanti propriamente umani, una tappa necessaria proprio nell’ottica di un ritorno a casa perché si dimostra caratterizzante e diversa per tutti coloro che si ritrovano a viverlo e a farci i conti.
Per Epzo e Angstrom, i finalisti di una gara intergalattica, Desolation non è soltanto l’ultima sfida da superare prima di agguantare finalmente il tanto sospirato premio, ma rappresenta anche l’estrema solitudine che riempie la vita di entrambi, seppure per ragioni differenti, e che non a caso li vede ora protagonisti di una gara che quasi esalta questo lato oscuro delle loro esistenze e ne fa uno strumento necessario per la loro vittoria. Ciò che Doctor Who mostra attraverso questi due personaggi è una diversa forma di individualismo, da una parte forzata, per Angstrom che brama un ritorno a casa negato e che sogna la possibilità di riportare insieme la sua famiglia, e dall’altra parte radicata, per Epzo che dalla più tenera età è stato costretto a credere in una cinica “legge della giungla” in cui non solo sopravvive il più forte ma soprattutto chi conta esclusivamente sulle proprie possibilità.
In questo scenario che Doctor Who presenta quindi, in questo percorso che perde sempre di più le sembianze di una gara, si inseriscono il Dottore e i suoi Companion, che diventano in parte custodi della loro personale solitudine e “desolazione” e in parte si affermano come una luminosa ed ottimista opposizione all’assenza di speranza che quel luogo sembra possedere.
La strada di casa che tutti loro ricercano diventa infatti per Graham e Ryan il bisogno di imparare a vedere l’uno nell’altro la famiglia che gli resta, dopo aver perso l’anello di congiunzione che a stento li teneva insieme; Yaz appare invece in questo episodio di Doctor Who alla ricerca di una nuova concezione di “casa”, di una missione o un obiettivo a cui appartenere per dimostrare il suo valore e abbracciare finalmente il suo potenziale; e infine il Dottore stesso è alla disperata ricerca dell’unica casa che abbia mai voluto per davvero e che sembra averla respinta in seguito alla sua ultima rigenerazione.
In quest’ottica dunque, Desolation appare come un perfetto scenario di partenza per la storia che Doctor Who intende raccontare, uno scenario tra l’altro costruito impeccabilmente che permette alla regia di affermarsi ancora una volta come uno degli elementi migliori di questa nuova fase dello show, sorprendendo con le ampie riprese delle distese desertiche ma custodi di inquietanti segreti e brillando nella fotografia che realizza i tre soli che illuminano il pianeta e le tre rispettive lune che li accompagnano.
La sceneggiatura di questo secondo episodio di Doctor Who quindi si rivela veloce e frizzante soprattutto nella prima parte ma mostra anche una sorta di “evidenza” nelle sue battute, un aspetto che in un certo senso pone la storia raccontata su un unico piano narrativo, annullando in questo modo i diversi livelli di significati che le storie di Steven Moffat e Russel T Davies spesso nascondevano, spingendoti a cercare oltre nei messaggi e nelle intenzioni celati tra le parole.
Come mostrato nella première e, a costo di sembrare ripetitiva, come richiesto anche dalla volontà di aprire il mondo di Doctor Who a chi non ne conosce le origini o la mitologia, il Tredicesimo Dottore riesce a incarnare perfettamente l’immensa caratterizzazione che un tale protagonista deve possedere ma lo fa anche tante volte “mostrando” apertamente gli obiettivi delle sue parole, delle sue spiegazioni, anche dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, facendo dunque emergere in superficie quei lati della sua personalità che le precedenti incarnazioni custodivano gelosamente e quasi temevano di rivelare per paura proprio della sofferenza che ne sarebbe derivata.
L’animo educativo di Doctor Who, i messaggi nascosti, le incomprensibili dinamiche sci-fi convivono adesso apertamente sullo stesso livello e possiedono una visibilità comprensibile, più di quanto lo sia stato in passato.
Doctor Who 11×02: Un accenno di storyline orizzontale?
Uno degli elementi migliori di questo secondo episodio di Doctor Who è stato costituito dalla caratterizzazione dei villain della storia e di quelle che sembrano essere le loro creazioni. L’intero pianeta Desolation infatti appare vissuto esclusivamente da una razza aliena informe e parassita in grado di nutrirsi delle paure di qualsiasi specie compaia sul loro cammino, una razza psichica, potente, capace di leggere gli animi di chi circonda e intrappola, creature che donano a Doctor Who quell’oscurità di cui la serie ha bisogno, quell’adrenalinica sensazione di inquietudine che pervade lo spettatore come un brivido costante.
Il confronto tra il Dottore e queste creature inedite per Doctor Who non solo si carica di una particolare ed emozionante intensità [lievi echi di Rings of Akhaten e Listen pervadono la scena] ma sembra voler impostare anche una prima base per quel mistero che potrebbe protrarsi per tutto l’arco della stagione e che è cominciato nella première con l’introduzione degli Stenza.
Un’antica iscrizione infatti permette al Dottore di rivelare la storia che aleggia ora come un tragico ricordo sul pianeta Desolation, una storia di sottomissione, tortura e prigionia in cui un gruppo di scienziati è stato costretto a creare, proprio per ordine degli Stenza, una serie di creature e macchine di morte dalle forme e dai poteri sconosciuti, tra cui probabilmente le stesse entità aliene che ancora resistono e sopravvivono sul pianeta deserto. Seppure la première di Doctor Who avesse introdotto gli Stenza come un’ennesima razza guerriera neanche troppo temibile, questo secondo episodio in realtà delinea un quadro ben più ampio e oscuro di questa razza, permettendo anche a questo contesto di “seminare” le origini di un mistero.
Leggendo nell’animo e nella mente del Dottore infatti, i Remnants scrutano nelle sue paure e nei suoi ricordi e lì ritrovano una particolare figura che definiscono “The Timeless Child”, emarginato, abbandonato e sconosciuto, una descrizione che sembra sorprendere il Dottore stesso e che suggerisce anche una presenza che va addirittura oltre i suoi ricordi. Il ritratto offerto ricorda molto in realtà il Dottore stesso, così come l’abbiamo conosciuto proprio nell’episodio dell’ottava stagione di Doctor Who “Listen”, un bambino senza tempo solo, diverso, impaurito, ma quell’alone di timore e confusione che appare sul volto del Dottore sembra anche confermare la teoria dei Remnants secondo cui questa figura così antica appartenga addirittura a un passato dimenticato o sconosciuto. Chi è il “Timeless Child” che giace oltre i ricordi o le conoscenze del Dottore? Curiosa è in fondo anche la definizione stessa di questa figura, una definizione che riprende il primo titolo di Doctor Who, “An unearthly child”, in riferimento in quel caso a sua nipote Susan.
Doctor Who 11×02: Una nuova famiglia
Seppure il loro apporto concreto alle dinamiche prettamente sci-fi del secondo episodio di Doctor Who sia apparso ancora relativamente limitato, la caratterizzazione dei Companion continua a rivelarsi uno degli aspetti più tridimensionali di questa stagione, con un’evoluzione graduale ma profonda, che contrasta anche l’eccessiva linearità della narrazione della trama e presenta invece spunti di riflessione sugli sviluppi futuri.
Come precedentemente anticipato, Graham e Ryan si ritrovano in questa fase iniziale di Doctor Who a doversi riconoscere come una famiglia nonostante entrambi abbiano perso l’unica persona che realmente rappresentava quel concetto. Per quanto Graham ci provi però, cercando di vivere e amare come sua moglie Grace avrebbe voluto, Ryan si mostra ancora in tutta la sua introversione, isolato nelle sue emozioni che non intende condividere e fondamentalmente arrabbiato con se stesso e con il mondo intorno.
La sua particolare condizione fisica accentua maggiormente questa tacita ribellione che sommata però a una sostanziale e genuina immaturità, dà vita a un’impulsività irrazionale che poi inevitabilmente gli si ritorce contro anche con esiti teneramente esilaranti. In questo scenario caratteriale costruito in questa nuova era di Doctor Who quindi, Ryan appare ancora come un “bambino” costretto a crescere in fretta e soprattutto in maniera a tratti emarginata e il suo rapporto col Dottore infatti si sviluppa proprio su un livello generazionale, un rapporto in cui il Dottore lo ammonisce e lo gratifica, ammirandone l’umanità e la forza di affrontare e superare le sue stesse avversità.
Di Yaz comincia a notarsi invece non solo un background familiare, che appare da una descrizione preliminare piuttosto ordinario e regolare, ma anche una particolare sensibilità nei confronti delle storie altrui, indipendentemente dalla razza da cui provengono. Così com’è accaduto infatti nel finale della première di Doctor Who in cui indaga delicatamente sul passato del Dottore, allo stesso modo Yaz appare affascinata ed emotivamente colpita dal drammatico passato di Angstrom, che ascolta quasi rapita dalle sue parole e dalle sue emozioni.
Lo sguardo di Yaz racchiude tante volte quella meraviglia che è alla base della realtà di Doctor Who, una meraviglia costante per qualunque novità si apra davanti ai suoi occhi. E anche in questo secondo episodio inoltre, la sensibilità di Yaz permette anche allo stesso Ryan di aprirsi maggiormente, avvicinandosi a lui con discrezione, rispettando i suoi tempi e aspettandolo per vivere al suo fianco quell’esperienza così assurda.
I tre nuovi companion di Doctor Who si affermano in questo secondo episodio come un supporto imprescindibile per il Dottore in quanto individuo fondamentalmente solo e sono proprio loro a credere in lei nel suo momento di maggiore sconforto, quando lei stessa aveva smesso di credere nelle sue capacità e nelle sue promesse.
Doctor Who 11×02: Nuova Sigla, Nuovo TARDIS
Finalmente, questo secondo episodio di Doctor Who ha presentato gli ultimi due elementi caratterizzanti e identificativi di questa serie: la sua iconica sigla iniziale e il suo eterno punto di partenza, il TARDIS.
Il theme musicale, composto da Segun Akinola e ascoltato in parte nei titoli di coda della première di Doctor Who, è indiscutibilmente geniale e riprende proprio la base originale del 1963. Anche la parte grafica della sigla sembra voler recuperare quello stile di partenza, apparendo quasi ispirato alle immagini informi del test di Rorschach, un collegamento in fondo neanche troppo improbabile considerato che ognuno di noi alla fine vede e ritrova in Doctor Who ciò di cui più ha bisogno. Più breve di una manciata di secondi rispetto al passato, è mancante del consueto vortice che ha caratterizzato le sigle precedenti e del TARDIS che lo attraversa.
E proprio il TARDIS si è rivelato in realtà protagonista assoluto di questo episodio di Doctor Who, con una sua caratterizzazione, una sua presentazione e con i suoi rapporti personali. Proprio dal punto di vista di una rappresentazione viva e quasi umana della storica cabina blu, è stato profondamente emozionante assistere al legame che unisce il Dottore alla sua casa, un legame che in qualche modo era apparso spezzato in seguito alla rigenerazione e che il Dottore brama per tutta la durata dell’episodio, fin dal momento in cui i suoi occhi brillano emozionati di fronte alla possibilità concreta di ritrovarlo.
Il TARDIS ha sempre rappresentato in Doctor Who un prolungamento del Dottore, della sua storia e della sua persona, dei suoi obiettivi e dei suoi desideri, portandolo spesso lì dov’era destinato ad andare e ignorando i suoi comandi. Per questo motivo la sua assenza sconforta il Dottore non solo per la mancata realizzazione della promessa fatta ai suoi Companion ma anche per quella che diventa ai suoi occhi come una nuova perdita, la perdita di un alleato che non l’aveva mai abbandonata.
La felicità nel suo sguardo nel momento in cui il TARDIS ritorna da lei è una sensazione reale, concreta, intensa, così come la sorpresa di fronte al suo cambiamento. E proprio dal punto di vista prettamente estetico, il nuovo TARDIS di Doctor Who rivoluzione l’aspetto conosciuto finora, riprendendo nuovamente i caratteri steampunk delle prime stagioni di Russel T Davies, eliminando le classiche “cose tonde” e “spegnendo” la luminosità che riempiva gli ampi spazi interni, adesso ridimensionati e minimal. È un TARDIS che riprende i colori e le forme del cacciavite sonico, che sembra pervaso da un alone di oscurità ma che sembra anche sempre pienamente consapevole di ciò che il Dottore vuole.
È stato destabilizzante però non ascoltare la frase di rito dei Companion nel momento in cui notano lo sbalzo dimensionale all’interno del TARDIS, ricordare il passato non significa ripeterlo ma onorarlo e questo non si dovrebbe dare per scontato in una serie come Doctor Who che fa del passato la sua anima più profonda.
Il secondo episodio di Doctor Who si carica di una personalità propria, decisa, nuova, che disegna il suo stesso percorso e che rispetta pienamente gli obiettivi di partenza. È un Doctor Who che si chiude un po’ al passato, per quanto possibile, e cerca la sua strada in una realtà diversa che nonostante tutto però è ancora profondamente autentica e riconoscibile.
Doctor Who: The Ghost Monument - 11x02
Conclusioni
Doctor Who porta in scena un episodio che risulta giusto e idoneo per questa fase inaugurale ma deve essere pronto a compiere un passo più deciso verso la storia che è destinato a raggiungere.
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