Recensione
Doctor Who 11×03: Recensione – Proteggere la storia per cambiare il futuro
Published
6 anni agoon
Nel terzo atto dell’undicesima stagione, Doctor Who compie il suo primo viaggio nel passato e lo fa con un episodio di cui si era ipotizzata l’esistenza, una storia preannunciata e in seguito confermata ma per cui forse non si sarà mai davvero preparati. In un episodio che abbraccia e stabilizza ancora di più le nuove direttive della serie ma al tempo stesso si ricongiunge forse per la prima volta all’anima più autentica di questo show, Doctor Who compie quel grande passo che si attendeva con ansia e mostra a tutti ciò di cui è capace.
Quando il terzo episodio di questa undicesima stagione di Doctor Who è cominciato, nonostante si conoscesse ormai bene la trama che avrebbe trattato, non si è avvertita particolarmente quell’atmosfera che profuma di storia che pervade di solito il primo viaggio nel passato della serie. Che fosse a causa di un passato piuttosto recente e non così distante come la tradizionale Londra Vittoriana o quella Shakespeariana, l’episodio appariva al principio vagamente statico, come se dimostrasse ancora qualche difficoltà a ingranare e a “lasciarsi andare” completamente ai significati che intendeva trasmettere.
Ma più si proseguiva nella narrazione e soprattutto nella scrittura dei protagonisti coinvolti, più questo terzo episodio di Doctor Who sembrava occupare con maggiore confidenza e intensità il posto che era chiamato a riempire e il destino che in qualche modo ci si aspettava che compisse. È proprio nelle parole pronunciate e taciute, nei gesti adempiti e in quelli necessariamente trattenuti, che questo episodio di Doctor Who, questa storia così fondamentale prende davvero vita e comincia ad alzare la sua voce, comincia a spiegare il motivo della sua imprescindibile esistenza.
Le tematiche che Doctor Who ha scelto di trattare in questo contesto, le lezioni che ha scelto di impartire riconfermando la sua anima prettamente educativa e istruttiva, appaiono in un primo momento così “scontate” che sembra quasi una follia pensare che ci sia davvero ancora bisogno di ribadirle e di portarle in scena con l’intento di poter finalmente imparare da esse ma nel momento in cui sentiamo Ryan parlare, nel momento in cui ascoltiamo le testimonianze di Yaz o più semplicemente nel momento in cui accendiamo la tv, sfogliamo un giornale o leggiamo un tweet, ci rendiamo effettivamente conto di quanto noi, come umanità, abbiamo ancora bisogno che Doctor Who ci spieghi la vita e ci insegni a viverla decentemente.
Doctor Who 11×03 – Proteggere la storia per provare a imparare da essa
“History changes when tiny things don’t go to plan”
“Keep history in order, not changing it, just guarding it”
Quando Doctor Who porta nel suo mondo personaggi o eventi storici particolarmente famosi o iconici per il contesto in cui hanno vissuto o per l’eredità che hanno lasciato, lo fa sempre con quella sua unica e straordinaria capacità di distaccare il protagonista in questione dal suo tempo e della sua storia, che vengono comunque omaggiati nella loro essenza, per renderlo un simbolo sempre vivo, eterno, che rappresenta in realtà un punto di riferimento costante, un dono o una lezione per qualsiasi epoca e qualsiasi persona lo accolga nella sua cultura.
Così come Dickens e Shakespeare sono stati trattati in passato come manifesto del potere e della magia della letteratura e Van Gogh ci è stato presentato come un artista visionario in grado di cambiare il modo di vivere e avvertire l’arte, allo stesso modo Rosa Parks ci viene raccontata in questo terzo episodio di Doctor Who non solo come una paladina dei diritti civili della popolazione afro-americana che ha dato inizio con coraggio e orgoglio al cambiamento sociale che dovrebbe costituire la base dell’umanità moderna, ma soprattutto viene ricordata e omaggiata come una voce il cui eco non può e non deve svanire nel tempo, una voce che ha plasmato le menti e gli animi di intere società, una voce che è diventata il simbolo di una storia che Doctor Who intende proteggere e tramandare, nella speranza che ci sia ancora e sempre qualcuno pronto ad ascoltare.
Proprio da questo punto di vista quindi, si rivela profondamente originale e intensa non soltanto la caratterizzazione di Rosa Parks, così concreta eppure così eterea e simbolica, ma anche la stessa essenza di Doctor Who e del suo protagonista principale, entrambi infatti fin troppo abituati a influenzare la storia, a migliorarla quando serve, a diventarne parte attiva più di quanto sia concesso dalle leggi del tempo ed entrambi adesso chiamati a proteggerla, anche nei suoi lati più oscuri, anche nelle sue ingiustizie più profonde, perché testimoni per una volta di un futuro migliore.
Il Dottore ci è sempre stato presentato, fin dal principio di Doctor Who, come un personaggio intraprendente, un personaggio che non sa restare impassibile di fronte alla difficoltà, che non tace davanti ai soprusi e alla tirannia, che non accetta e non riconosce alcuna concezione di superiorità intellettuale o sociale. Per questo motivo è stato sorprendentemente innovativo per questo episodio di Doctor Who porre il Dottore in una condizione di forzata immobilità, una condizione in cui tutti i suoi sforzi e tutto il suo impegno dovevano convergere alla salvaguardia di una storia che non poteva cambiare neanche nel suo dettaglio più insignificante.
È stato affascinante infatti notare come ancora una volta Doctor Who abbia trasmesso il suo tradizionale messaggio secondo cui la storia è composta proprio da piccoli momenti che presi singolarmente passano quasi inosservati ma che se considerati nella loro collettività, diventano parti imprescindibili di quadri più ampi in grado di cambiare il corso del tempo. Proteggere Rosa Parks dunque significava in questo episodio di Doctor Who proteggere la sua eredità, proteggere l’insegnamento che era destinata a tramandare, e per farlo, per la prima volta, il Dottore e i suoi Compagni dovevano restare in silenzio e voltare letteralmente le spalle a tutto ciò in cui credono.
Restare impassibile, ferma, silente, mentre un atto di pura viltà prendeva vita davanti a sé è stata forse una delle battaglie più difficili che il Dottore abbia mai affrontato e Jodie Whittaker ha saputo interiorizzare e portare in scena quel conflitto morale come solo Doctor Who è sempre stato in grado di fare.
Assolutamente straordinarie però sono state anche le influenze dei tre Companion nella storia raccontata da questo terzo episodio di Doctor Who, nel contesto in cui essa si è sviluppata e soprattutto nel rapporto con la sua protagonista Rosa Parks. Era inevitabile che Ryan e Yaz fossero portatori in questo frangente di tematiche e testimonianze reali e personali ma il modo in cui la concreta realizzazione e manifestazione del razzismo viene rappresentata da Doctor Who li colpisce entrambi con una tale forza da riuscire ad attraversare facilmente lo schermo per raggiungere la sensibilità di chi guarda.
Lascia quasi senza parole il violento schiaffo che Ryan riceve in seguito al suo ingenuo tentativo di restituire a una donna bianca il fazzoletto che le era caduto. È un momento improvviso, quasi inaspettato, crudele, è uno schiaffo che Doctor Who in quel particolare istante dà a tutti noi, alla nostra realtà, alla nostra abitudine di dimenticare e ripetere il passato. Se Yaz ci viene presentata anche in questo episodio profondamente ottimista, orgogliosa e con una corazza emotiva difficile da scalfire, Ryan per quanto conservi dentro di sé una rabbia costantemente tenuta sotto controllo grazie all’educazione ricevuta da sua nonna Grace, è in questa nuova era di Doctor Who la personalità più innocente e pura, la voce più ingenua e incontaminata, incapace di fare un complimento a una ragazza senza sentirsi in imbarazzo e protagonista di adorabili momenti di affermazione di sé.
A maggior ragione quindi, il suo rapporto con Rosa Parks o addirittura con Martin Luther King non è solo fondamentale a livello universale per l’insegnamento che viene custodito nei confronti che Doctor Who porta in scena ma diventa importante anche da un punto di vista personale perché incontrare, ascoltare e vivere quei modelli di umanità e di speranza diventa per un giovane ragazzo come Ryan un balsamo per la sua rabbia e il suo pessimismo, così come Rosa diventa per Yaz una conferma dell’importanza della determinazione e dell’indipendenza di una donna che vuole cambiare il suo futuro.
Allo stesso modo però, Doctor Who ha saputo caratterizzare perfettamente anche il coinvolgimento di Graham in questa storia, forse l’unico davvero “protetto” e al sicuro anche in quella piccola cittadina dell’Alabama nel 1955. La vergogna, l’umiliazione e la frustrazione sul volto di Graham quando capisce di dover essere parte di un passato che lo disgusta è esattamente il tipo d’insegnamento che questo episodio di Doctor Who vuole lasciare, vuole spronare la collettività ad essere imbarazzati e indignati dall’odio verso ciò che è diverso, perché solo in questo modo possiamo davvero evitare che si ripeta.
Doctor Who 11×03 – Parvenze di Sci-Fi
Mai come in questo episodio di Doctor Who però si è notata forse la differenza tra le sceneggiature di Steven Moffat e Russell T Davies e quelle di Chris Chibnall perché la componente sci-fi della storia è stata ridotta probabilmente ai minimi storici a favore di un aspetto più autenticamente drama, genere in cui Chibnall eccelle.
Nel breve spazio dedicato all’indispensabile cornice sci-fi, il villain affascinante e prettamente umano presentato da Krasko e portato in scena da Josh Bowman è stato custode di inaspettati e svariati richiami al passato di Doctor Who, tra un Vortex Manipulator, che come ormai tutti sappiamo è soltanto un “cheap and nasty time travel”, e la prigione di Stormcage, che aveva rinchiuso per molto tempo anche River Song.
La superficialità della trama sci-fi in questo contesto serve però per familiarizzare e capire ancora di più l’impronta che Chris Chibnall vuole dare al suo Doctor Who, uno stile che si riafferma episodio dopo episodio e definisce con maggiore precisione il nuovo volto della serie.
Doctor Who 11×03 – I’ll rise up
L’utilizzo di una soundtrack non originale nella scena catartica dell’arresto di Rosa Parks ha diviso letteralmente il fandom di Doctor Who, tra chi ha visto questa scelta come una novità troppo distante dalle abitudini della serie e chi invece l’ha considerata la cornice perfetta per un momento intenso ed emozionante.
Pur riconoscendo sicuramente l’insolita decisione per una serie come Doctor Who che fa delle sue colonne sonore originali un marchio di fabbrica, l’impiego della canzone “Rise Up” di Andra Day non solo non va assolutamente a “rovinare” la tradizione musicale dello show, che di tanto in tanto si accompagna anche a soundtrack non originali [Perfetta è la cover di “Don’t stop me now” interpretata da Foxes nell’ottava stagione e ripresa anche nel finale della nona stagione, “Hell Bent”], ma soprattutto si sposa perfettamente con lo stile della scena e col suo significato, riprendendo infatti nel testo la poesia di Maya Angelou “Still I Rise”.
Ancora una volta, Doctor Who si è mostrato particolarmente diverso e distante dalla “vecchia” tradizione della serie, caricato di sfumature americanizzanti (inevitabilmente considerata l’ambientazione) e ricco di tutti quegli elementi inediti e innovativi introdotti da questa stagione ma nonostante tutto questo episodio è stato forse più Doctor Who di quanto lo siano stati i primi due episodi perché è questo che la serie significa, è questo ciò che lascia alla fine della sua messa in onda: una chiave di lettura del nostro passato per vivere meglio il presente ed evitare che si ripeta in futuro. Dobbiamo ancora migliorare in questo ma Doctor Who ci mostra che forse non siamo ancora del tutto spacciati.
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