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Doctor Who: Verity Lambert e le origini della serie sci-fi

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Vi domandate mai come nasca una serie tv? Chi permette a un’idea di prendere vita e chi la guida per mano fino alla realizzazione sullo schermo? Questa è la storia che vogliamo raccontarvi oggi, una piccola finestra sulle origini dell’iconica serie britannica Doctor Who e della donna che l’ha resa ciò che è diventata.

Spesso ci si domanda quale sia lo scopo che definisce una serie celebre e iconica come Doctor Who, quale sia il motore che spinge il suo protagonista così misterioso e affascinante a viaggiare senza sosta e che rende questa storia così fuori dal tempo e dallo spazio sempre attuale, sempre significativa, eterna.

Non è sempre facile spiegare la figura del Dottore e la realtà di Doctor Who a chi guarda questa serie con occhio inconsapevole e distaccato, ancora più difficile è provare a spiegarlo a chi cinicamente in fondo crede ancora che sia “solo” una serie tv. Ma la verità è che raccontare Doctor Who, presentarlo attraverso uno sguardo più personale, attingendo a conoscenze apprese nel corso del tempo e “vissute” con intense emozioni, è un autentico privilegio. E questo perché fin dal suo primo giorno di produzione, Doctor Who non è mai stata solo una serie tv bensì una storia che ha rivoluzionato il volto della televisione, ridefinito i canoni del genere sci-fi e soprattutto ha rappresentato l’emblema di un cambiamento sociale che ha segnato un’evoluzione miliare nell’ambito lavorativo della creazione di un prodotto televisivo. Spesso infatti Doctor Who è stato ingiustamente tacciato di maschilismo ignorando in questo modo uno degli aspetti che personalmente più apprezzo della sua creazione, ossia che probabilmente nulla di tutto ciò che vediamo e amiamo oggi della serie sarebbe stato possibile senza il lavoro di una donna: Verity Lambert. Ed è proprio per lei che questo articolo nasce.

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Doctor Who & Verity Lambert

Verity Lambert è in un certo senso il manifesto di alcuni dei significati più intrinseci di Doctor Who, è il simbolo di una visione difficile da comprendere e accettare, è l’esempio di una minoranza, quella femminile, condannata a vivere e lavorare solo negli spazi che gli uomini erano disposti a concedere, è portatrice di un’idea e di un messaggio che sono sopravvissuti per oltre mezzo secolo e che hanno attraversato storie, mode, società e culture, fino a lasciare anche gli “stretti” confini del Regno Unito e a raggiungere distanze forse inimmaginabili nel ’63 ma che, mi piace pensare, in qualche modo Verity Lambert aveva sognato.

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Uno degli aspetti che più affascinano delle origini di Doctor Who è il suo essere nato sotto una “cattiva stella”, per tante ragioni in realtà: perché era “solo” uno show per bambini; perché era una storia fin troppo fuori dall’ordinario e lo stesso concept di partenza tendeva a confondere chi lo leggeva; perché c’era una donna a capo della sua produzione, la prima produttrice nonché la più giovane nella storia della BBC fino a quel momento; e perché il primo episodio di Doctor Who, “An Unearthly Child”, scritto da Anthony Coburn e diretto da un giovane regista indiano, Waris Hussein, andò in onda il 23 Novembre del 1963, il giorno dopo l’assassinio del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy. È una coincidenza storica che se da una parte ha rischiato di condannare il futuro della serie in partenza, dall’altra sembra quasi segnare quello che sarà il destino di Doctor Who, una serie che ancora oggi è in grado proprio di rappresentare l’alternativa a una realtà sempre più buia, sempre più difficile, perché ci offre fondamentalmente una diversa chiave di lettura della nostra stessa quotidianità, cercando al tempo stesso di illuminarci il percorso più giusto da seguire.

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Ma Verity Lambert non era disposta a lasciare che la sua visione della serie cadesse nel dimenticatoio e fosse oscurata dalla negatività della realtà, così, in un disperato tentativo di dimostrare la validità della storia e della sua fiducia in essa, ottenne che il primo episodio di Doctor Who venisse trasmesso in replica una settimana dopo, poco prima della messa in onda del secondo. Il risultato di quella scommessa lo vediamo ancora oggi.

L’importanza di questa donna per Doctor Who sta proprio nella determinazione delle sue idee e nella forza di uno sguardo che è stato capace di vedere oltre i pregiudizi e i dubbi che la circondavano, che non ha vacillato davanti ai numerosi ostacoli che si presentavano, ai problemi tecnici che attanagliavano il set poiché non ancora in grado di tenere testa a una storia così “avanguardista”, alla sfiducia di chi non credeva in lei, Verity Lambert ha abbattuto uno dopo l’altro tutti i muri che le innalzavano intorno e l’ha fatto per una semplice ragione: perché credeva in Doctor Who, più di chiunque altro, a volte anche più dello stesso Sydney Newman, il direttore della sezione “drama” della BBC nonché ideatore del progetto “Dr. Who”, così come era stato denominato nei primi documenti ufficiali di presentazione dell’idea.

Ma se Verity Lambert è stata responsabile di aver plasmato e dato vita alla storia di Doctor Who così come la conosciamo oggi, è proprio di Sydney Newman il merito di aver “osato” rompere una tradizione tutta maschile che vigeva nell’ambito televisivo della BBC e aver affidato alla sua “protetta” e vecchia assistente di produzione, Verity Lambert, un progetto un po’ folle che poteva risultare vincente solo con una donna “full of piss and vinegar [la traduzione non è necessaria, diciamo solo che significa “tutta pepe”] con la capacità di “spingere alle lacrime anche gli uomini più forti” [auto-descrizione]. In un certo senso, sembra che Doctor Who e Verity Lambert abbiano fatto bene l’uno all’altra, siano stati reciprocamente indispensabili, anche perché essendo una donna pragmatica e razionale, la Lambert aveva deciso di concedersi ancora un anno di tempo per prendere le redini di una programma televisivo e se ciò non fosse accaduto, avrebbe lasciato il mondo della televisione.

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Doctor WhoProvvidenziale è stata dunque la fiducia che Newman ripose in lei, una fiducia che Verity riversò incondizionatamente su Doctor Who e che a volte superava anche quella di Newman stesso. Uno dei più grandi meriti della Lambert infatti è quello di aver creduto e combattuto per mantenere in Doctor Who degli insoliti alieni, ideati e scritti da Terry Nation, che Newman rifiutava categoricamente perché credeva facessero parte dei classici e stereotipati “Bug-eyed monster, ossia i tradizionali mostri che pullulavano le storie sci-fi fino a quel momento. Ma gli alieni di Verity Lambert erano molto più di questo ed erano destinati a diventare parte integrante non solo di Doctor Who ma anche della cultura televisiva e popolare degli anni ’60: è grazie alla sua irremovibile tenacia che oggi conosciamo i Dalek.

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In quanto produttrice, non esiste un singolo settore di Doctor Who che Verity Lambert non abbia influenzato durante il suo periodo di attività, rivelandosi soprattutto straordinaria responsabile di un casting inedito e sorprendente che presentava tra le sue fila un attore di film d’azione la cui carriera era ormai al tramonto, William Hartnell, in cui Verity Lambert aveva riposto tutta la sua fiducia, e co-protagonisti a grandi linee sconosciuti come Jacqueline Hill (Barbara) e Carole Ann Ford (Susan). E proprio grazie a questa sua totale dedizione alla professione non esiste attore, regista, scrittore o produttore esecutivo con cui abbia lavorato che non abbia sempre guardato la Lambert con il massimo rispetto e profonda ammirazione.

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La carriera di Verity Lambert dopo Doctor Who è stata altalenante, tra ulteriori successi e inevitabili fallimenti, ma la sua eredità non ha eguali. Verity Lambert era una donna che sapeva incutere timore ma al tempo stesso meritare la stima di tutti i suoi collaboratori, una donna che non si è arresa quando le dicevano che “non poteva”, che il suo Doctor Who non avrebbe mai funzionato, che avrebbe fallito; Verity era una donna con una visione, una visione in cui credeva e per cui ha lottato, una visione che oggi ci ha donato una delle migliori serie tv che siano mai state create, il nostro Doctor Who.

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Vedere Doctor Who attraverso Doctor Who: “An adventure in space and time

Nel 2013, anno del cinquantesimo anniversario della serie, Mark Gatiss omaggiò la storia epica di Doctor Who con un film biografico che racconta le origini dello show, un esempio pregiato ed emozionante di meta-televisione che apre un’affascinante finestra sul mondo della produzione seriale televisiva vista nella sua formazione, dal concept alla realizzazione sullo schermo.

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Il valore più originale e innovativo di questo film sta proprio non solo nel raccontare la magia di un lavoro che tante volte viene ignorato o ridotto a una suddivisione di meriti tra cast e registi ma soprattutto nel mostrare visivamente come Doctor Who abbia letteralmente plasmato e rinnovato il volto della televisione, abbattendo fin dalle sue origini barriere e pregiudizi sociali, svecchiando antichi ingranaggi lavorativi chiusi al genere femminile e aprendosi finalmente a un genere come il sci-fi considerato banale e abusato ma che in questo caso si rinnova dall’interno sfumandosi con intense connotazioni drama, che avrebbero dovuto portare i bambini “a nascondersi dietro il sofà”, e con nozioni storico-scientifiche che invece li avrebbero aiutati a rendere più vive quelle asettiche pagine di storia che troppe volte magari avvertivano così distanti e senz’anima.

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La storia di Doctor Who raccontata in An Adventure in Space and Time dà quasi i brividi per il modo in cui viene trasposta, per una fotografia quasi magica, per una sceneggiatura che riprende a volte fedelmente le parole originali pronunciate nel lontano ’63, per un casting che lascia stupefatti a causa dell’incredibile somiglianza tra gli attori del film e i protagonisti realmente esistiti in quel momento iconico per Doctor Who. Jessica Raine incarna in maniera impeccabile la determinazione e la passione inarrestabile di Verity Lambert mentre David Bradley fa propria l’essenza di William Hartnell e del suo Primo Dottore così profondamente da ritornare nel ruolo del Dottore originale anche nell’ultimo episodio dell’era Moffat di Doctor Who, “Twice Upon A Time”, accanto al protagonista uscente Peter Capaldi.

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An Adventure in Space and Time è tutto ciò che serve per capire perché Doctor Who non sarà mai solo una serie tv, per rendersi conto che lo standard segnato dal suo percorso dentro e fuori lo schermo resterà prettamente irraggiungibile, per accettare che sia stato uno degli show più avanguardisti, profetici e innovatori della storia.

Doctor Who è oggi un regalo, ripreso per la mia generazione da Russell T Davies, reso globale e travolgente da Steven Moffat ma portato in vita oltre un’idea e una visione da Verity Lambert.

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Doctor Who: La perla editoriale

Al giorno d’oggi tutti parlano e scrivono di Doctor Who: chi lo ama e lo capisce, chi lo segue con distacco e anche chi ancora crede che le companion siano solo banali assistenti, ma c’è qualcuno che era già lì quando Doctor Who ha mosso i suoi primi passi, qualcuno che ha testimoniato ogni fenomenale cambiamento di cui la serie è stata portatrice, qualcuno che ha raccontato l’arrivo di Jodie Whittaker nel ruolo e che nel 1963 invece si chiedeva chi fosse “Dr. Who”.

Come testimoniano queste foto esclusive conservate dagli archivi della BBC, Radio Times, una delle più autorevoli testate giornalistiche britanniche dedicate alla cultura televisiva, pubblicava nel ’63 questo articolo che delineava tutto ciò che fino a quel momento si conosceva di Doctor Who, del Dottore, dei suoi compagni di viaggio, del suo insolito mezzo di trasporto e delle meravigliose avventure nello spazio e nel tempo che lo avrebbero visto protagonista. In onda alle 5:15 del pomeriggio, sulla BBC-Tv.

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Primo articolo di Radio Times su Doctor Who

Doctor Who è una serie nata in realtà quasi come un esperimento, è la squadra su cui nessuno avrebbe puntato al principio, è la storia in cui in pochi credevano, è l’universo che ancora oggi continua ad entrare nelle nostre vite, a cambiarle e a renderle un po’ “più grandi all’interno”.

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