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Netflix

The I-Land: un inganno di riferimenti e omaggi | RECENSIONE

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Il nuovo show Netflix The I-Land si pone grandi obiettivi ma le sue inarrivabili ambizioni devono scontrarsi con una deludente realtà.

Si possono odiare o amare alla follia ma è innegabile che alcuni titoli degli ultimi due decenni abbiano segnato il corso del piccolo schermo. Uno di questi show è, senza dubbio, Lost, serie iniziata nel 2004 ed entrata nella storia con le sue sei stagioni. Lo show ideato da J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber ha ispirato e dettato le regole per un certo genere di serie-tv. Negli anni, molti produttori e sceneggiatori hanno cercato di ripercorrere questi passi, riproponendo – con più o meno successo – una formula vincente.

The I-Land, l’ultima mini-serie targata Netflix, non ha mai nascosto la sua ispirazione. Sin dalle immagini del trailer, infatti, emergeva un forte legame. Proporre dichiaratamente un modello, però, richiede anche una certa coerenza, un rispetto nei confronti di quanto pianificato e promosso. Il pubblico certamente non cercava il nuovo Lost ma, davanti alla massiccia produzione basata su questo riferimento, si aspettava almeno un buon prodotto intrigante e appassionante. Per capire, però, gli errori di The I-Land, è importante ripercorrerne lo spunto narrativo.

The I-Land - Chase e KC

Foto: Netflix

Dieci – attenzione a questo dettaglio – sconosciuti si risvegliano senza memoria su un’isola esotica sperduta. Nessuno di loro si ricorda come ha raggiunto questo posto. Ogni personaggio riesce risalire solamente al proprio nome grazie all’etichetta della propria camicia. In una situazione disperata, il gruppo inizialmente sembra legarsi. Personalità e istinti, però, prenderanno il sopravvento in un’isola non poco misteriosa.

The I-Land è intelligente ma non si applica

Parlare di serie come Lost e Westworld – altra ispirazione dello show Netflix – è estremamente difficile. Entrambe sono così ricche di livelli e significati che ogni singolo dettaglio potrebbe essere uno spoiler per le menti più acute. Riflettere, invece, su una produzione come The I-Land è estremamente semplice e lineare. La mini-serie ideata dal quasi sconosciuto Anthony Salter, infatti, adotta tecniche e stratagemmi collaudati alla perfezione. Non è strano, infatti, imbattersi in repliche dettagliatissime di sequenze di altri show, in particolare il pluri-citato Lost. The I-Land è un bravo allievo, uno studente attento ai particolari anche più tecnici, incapace, tuttavia, di unire al tutto cuore e passione. La narrazione, infatti, appare sin dal principio fredda e asettica. Nessun personaggio, nemmeno la protagonista Chase a cui viene dato ampio spazio, entra in sintonia con lo spettatore.

The I-Land - KC

Foto: Netflix

La serie con i suoi 7 episodi scorre liscia, senza intoppi grazie al suo ritmo sostenuto. Tuttavia il bingewtching che ne deriva implica anche l’impossibilità di riservare i giusti tempi per l’approfondimento dei vari personaggi. Questo aspetto è cruciale in un thriller-sci fi psicologico. I dieci personaggi in scena rimangono così pedine di un gioco che rimanda da subito alla struttura di Dieci Piccoli Indiani e alle dinamiche di Hunger Games. Il lato più intrigante delle personalità in gioco rimane così trascurato in favore di una storia incalzante ma non in grado lasciare davvero un segno dopo il suo epilogo. Nemmeno le interessanti ma frettolose riflessioni etiche e morali del finale riescono a risollevare le sorti di The I-Land, che rimane così un esperimento mal riuscito.

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