La prima parte della quinta stagione di Vikings è appena terminata. Ecco il resoconto di una serie che, dopo svariati anni, riesce ancora a sorprendere e migliorare.
Con quattro stagioni all’attivo, ecco che torna una delle serie migliori degli ultimi anni. Vikings, show dal forte impianto storico ideato da History Channel e distribuito in Italia da TIM Vision, è arrivato alla conclusione della prima parte della sua quinta stagione. Dieci episodi pieni d’azione e, al contempo, introspezione che rivitalizzano e stupiscono. Scendiamo, però, più nel dettaglio con questa recensione senza anticipazioni.
Espansione
La quinta stagione di Vikings cambia le carte in tavola. I vichinghi, dopo la morte di Ragnar Lothbrok (Travis Fimmel), si sentono costretti nel loro piccolo mondo. Vogliono esplorare, espandere i propri confini. Ed è così che la serie si sfalda. In senso buono, però. Una singola stagione dove si passa dalle gelide terre della Scandinavia alle temperate regioni della Sicilia, per poi sbarcare sulle aride lande desertiche dell’Africa e, ancora, verso l’Inghilterra, fino all’estremo nord dell’Islanda. Ad un tratto, questo sfaldamento si ricongiunge per prendere parte ad una guerra civile. Quella che metterà fine e, contemporaneamente, inizio a tutte le faide. I figli di Ragnar Lothbrok che si scontrano in una battaglia mortale. Una corsa pacata e lenta verso un finale di stagione altamente espressivo. Una lunga salita verso il campo di battaglia. Una strada solcata da conflitti interni, doppi giochi, cambiamenti di prospettiva e tradimenti familiari. E, poi, il caos, da cui si crea introspezione. Una guerra “non combattuta”, raccontata attraverso balzi temporali, cambi di scena improvvisi, esternazione dei personaggi dalla lotta. L’immedesimazione è tale da rimanere sorpresi durante molte scene, viste le azioni fulminee e inaspettate dello scontro. Tutta la stagione è una lunga galleria che sfocia in questo sconvolgente finale di stagione. Ogni relazione, ogni più piccola sfumatura fuoriesce nuovamente durante la battaglia. Tutto è stato studiato appositamente per arrivare in quel punto cruciale, inevitabile e inscindibile.
L’occhio obiettivo di Heimdall
Ivar si trova sul campo di battaglia. Non potendo camminare, siede dritto, coperto di sangue. Sangue nemico. Intorno a lui, la battaglia infuria. Campo largo per dare un’idea generale dello scontro. Primo piano sul volto insanguinato di Ivar. La sua bocca sorride, ma i suoi occhi sono rigonfi di follia e furia. La macchina da presa inizia a vibrare. Un filtro impedisce di mettere a fuoco l’intero volto. Ivar ride. Urla. Il suo sguardo lacera i nemici, impauriti. Consci di trovarsi dinanzi al demonio.
Questa è la quinta stagione di Vikings, ovvero un continuo stratagemma visivo per caratterizzare i personaggi con poche ed evocative inquadrature. Non mancano anche i campi lunghissimi, volti a mostrare le selvagge terre ancora non colonizzate. Tuttavia, la serie dà il meglio di sé proprio durante le prime. Questo grazie anche all’ottimo lavoro attoriale svolto dagli interpreti. Quando nella quarta stagione morì Ragnar, protagonista indiscusso nonché colonna portante della serie, sembrava che fosse ormai tutto finito. La serie pareva persa, anche perché aveva “ucciso” il suo personaggio più carismatico. Qualcosa, però, è successo. I figli di Ragnar riescono a tenere testa al padre, soprattutto Bjorn (Alexander Ludwig) e Ubbe (Jordan Patrick Smith), i quali ne riprendono molto le movenze e il carattere. Ciò nonostante, Ivar è l’indiscusso protagonista della stagione, grazie anche alla magistrale interpretazione del novizio Alex Høgh Andersen. Il figlio storpio del grande vichingo convince, sorprende e terrorizza. Ogni volta che si avvicina ai suoi interlocutori strisciando, come un serpente pronto ad assalire la preda; ogni volta che guarda con il suo sguardo perennemente compiaciuto il suo sfidante interazionale; ogni volta che declama la sua bramosia di vendetta. Tutte le scene che presentano Ivar sono magistrali, piene d’enfasi, trascendentali. Non si va troppo oltre dicendo che è uno dei personaggi meglio caratterizzati della storia delle serie tv. Lo odii, ma al contempo lo ami. Provi pena per lui, ma anche disgusto. Terrore, ma tranquillità. Ti cattura e gioca con la tua mente, la fa vacillare, esitare, per poi lasciarti affogare nel mare gelido della tua stessa irresolutezza.
Vikings - Stagione 5
Conclusioni
Vikings è senza ombra di dubbio una delle migliori serie mai approdate sul piccolo schermo. Dopo cinque stagioni, ancora ha molto da dire e riesce sempre a trovare il modo migliore per farlo. La forza espressiva è tale da lasciare storditi. Le battaglie diventano pura introspezione, mentre i dialoghi si tramutano in scontri verbali all'ultimo sangue. Si percepisce molto quest'inversione di ruoli che esplode completamente con il finale di stagione, un capolavoro di tecnica e caratterizzazione. Tutti questi elementi, però, non possono essere compresi appieno prima della fine. Con il passare degli episodi si crea un mosaico sempre più ampio e intricato, pieno di relazioni che sembrano non venire mai approfondite completamente, ma con quegli ultimi quaranta minuti tutto diventa chiaro. I pezzi si ricongiungono. Le emozioni prendono il sopravvento. Frastornano. Ammaliano. Il mosaico è completo, anzi, è pronto ad espandersi ulteriormente. Verso nuove battaglie. Verso nuove follie. Verso nuovi orizzonti.
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