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Victoria e l’autentico femminismo espresso dalla serie

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Reduci dalla première della seconda stagione trasmessa nella serata di ieri, Domenica 23 Settembre, su Canale 5, ci soffermiamo oggi su un aspetto del period drama di successo Victoria che proprio gli episodi in questione hanno evidenziato particolarmente: l’intrinseco valore del femminismo enunciato dalla serie e dai suoi protagonisti.

La regina Victoria non era una femminista nel significato moderno del termine. Non credeva nella concessione del voto alle donne ed entrava in aspro contrasto con sua figlia, la principessa Alice, per il suo supporto alla causa. Per non parlare poi della sua negazione della sola esistenza del lesbismo, a causa anche della sua accentuata e netta moralità, un aspetto della sua personalità che spesso Lord Melbourne aveva cercato di sfumare. No, Victoria non era una femminista come oggi la definiremmo ma certamente è diventata nel tempo un’icona dell’indipendenza e soprattutto della fierezza delle donne, con tutti i nostri punti di forza e le nostre umane debolezze.

Daisy Goodwin, showrunner e scrittrice principale del period drama Victoria (giunto alla terza stagione) ma soprattutto appassionata studiosa della figura storica realmente esistita, evidenzia nella personalità della regina Victoria quell’aspetto specifico che fa di lei una pioniera di un movimento in cui la monarca neanche credeva e soprattutto trasmette proprio questo lato del suo carattere alla “sua” Victoria e in generale alla serie di cui è protagonista: si tratta, secondo la sceneggiatrice, della totale mancanza di senso di colpa, Victoria era una donna dalla personalità idiosincratica e contraddittoria per cui però non era disposta a chiedere scusa o a fare ammenda.

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Non è un mistero che Victoria non fosse una madre modello ma amava i suoi figli anche se non intendeva confinare i suoi sforzi nell’ambito della maternità; amava la bell’apparenza e l’aspetto curato ma lei per prima non si sentiva chiamata ad eccedere col trucco e con un look particolarmente elaborato, ne è un chiaro esempio la sua prima visita alla corte del re di Francia (mostrata nella serie nell’episodio 2×05, “Entente Cordiale”) in cui Victoria appare evidentemente “diversa” dalle dame francesi così eleganti; ma più di ogni altra cosa Victoria non voleva governare come un uomo o un suo surrogato ma intendeva farlo nel pieno della sua femminilità.

Ciò che la Goodwin mostra chiaramente nei primi due episodi della seconda stagione di Victoria è quanto questa donna abbia lottato per affermarsi dinanzi all’opinione pubblica come regina, moglie e madre senza sentirsi costretta a rinunciare a nessuno di questi aspetti o a privilegiare quello che la società si aspettava da lei.

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Fu Victoria a chiedere ad Albert di sposarlo ed è ormai fatto noto la sua passione per la vita sessuale che condivideva con suo marito, si parla quindi di una donna che per quanto avesse certamente il potere e la possibilità di affermarsi nella sua indipendenza, ha anche mostrato al mondo cosa significasse vivere la sua vita in maniera impenitente, senza dover sottostare all’immagine di sé che gli altri avevano costruito. E proprio questo aspetto così moderno e femminista della regina Victoria si riscontra in ogni singolo passaggio della sua rappresentazione nel period drama, una serie che appare contagiata nella sua totalità proprio da questa determinata volontà di affermare il potere delle donne, a partire dalla scrittrice stessa Daisy Goodwin, passando per la sua interprete principale Jenna Coleman e finendo con la regista Lisa James Larsson che ha diretto proprio i primi due episodi della seconda stagione di Victoria, episodi che appunto hanno accentuato particolarmente questa tematica.

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Victoria 2×01 – “I’m not a woman, I’m a Queen

La première della seconda stagione di Victoria, pone la regina nella posizione che più detestava: quella di reclusione in seguito alla nascita della primogenita, la principessa Victoria, una condizione che riporta alla memoria gli anni vissuti in solitudine e silenzio a Kensignton, tempi che la regina si era ripromessa di non vivere mai più.

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Oltre le superstizioni e le assurde consuetudini religiose che intendevano “ripulire” la madre del suo “peccato”, oltre le scarse conoscenze scientifiche che circondavano la gravidanza e il periodo post-partum, ciò che il confinamento in realtà nasconde è l’evidente desiderio di sostituire Victoria nelle questioni amministrative del regno, un compito per cui già in passato non era stata ritenuta all’altezza ma che adesso dà modo ai “grandi” uomini politici che la circondano di avere una ragione ufficiale per escludere la giovane regina dai doveri che le spettano.

Nell’episodio, la crisi d’identità che Victoria affronta dopo la prima gravidanza viene raccontata e gestita con dovizia di particolari, con un’interpretazione da parte della Coleman che tante volte viene racchiusa in brevi istanti, come il sorriso che si smorza lentamente quando si rende conto che l’amato Albert discuteva con i ministri la questione dell’esercito britannico bloccato nella guerra afghana, meeting di cui Victoria non era stata messa al corrente, o quando durante il battesimo della piccola Vicky, è Victoria a compiere un passo in avanti per prendere la bambina tra le braccia, superando in questo modo il sorpreso principe consorte. Sono tutti dettagli che ritraggono una lotta costante in cui Victoria è costretta ad affermare continuamente il suo ruolo e il suo potere dopo che le era stato portato via a causa proprio della gravidanza, motivo in più per cui la maternità non le appariva esattamente come una benedizione.

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Inoltre, come si è sempre visto nella serie, l’amore travolgente e passionale di Victoria per Albert rappresentava per la giovane donna una delle maggiori fonti di gioia ma con l’arrivo della primogenita, Victoria vede sfuggirle anche il ruolo di moglie dalle mani, non riuscendo più a condividere con suo marito l’intimità che tanto bramava, un aspetto estremamente moderno della caratterizzazione che rende proprio questa storia non soltanto incredibilmente contemporanea ma anche concretamente condivisibile dalle donne di qualsiasi epoca.

Ma paradossalmente, è con Lord Melbourne che Victoria riesce ad esprimere davvero e ad accettare questi timori e dubbi ed è in Lord Melbourne che trova le rassicurazioni di cui ha bisogno per tornare a ridefinire la sua posizione nel matrimonio con Albert e soprattutto nel suo regno.

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Victoria 2×02: Lady Lovelace

Il secondo episodio della seconda stagione di Victoria, “The green-eyed monster”, è probabilmente uno dei più particolari e importanti per la serie perché non solo segna il ritorno di Lord Melbourne ma introduce anche diverse figure realmente esistite che impreziosiscono la storia, come la celebre ballerina Maria Taglioni e l’attore teatrale Ira Aldridge. Ma è in realtà la sorprendente Ada Lovelace a dar pensiero a Victoria e a mettere in discussione le sue sicurezze.

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Unica figlia legittima del poeta romantico Lord Byron (vecchia conoscenza di Lord Melbourne, di cui aveva sedotto la moglie Caroline), Ada Lovelace era stata tenuta ben lontana dalla presenza di suo padre, temendo che potesse ereditarne la natura “selvaggia”, ma lungi dal dimostrare alcun segno dell’eccentricità paterna, Ada Lovelace aveva dimostrato ben presto una passione per la scienza e in particolar modo per la matematica, il cui apprendimento l’aveva condotta a lavorare in età adulta con il ricercatore Charles Babbage nell’elaborazione di macchine innovative e avanguardiste che in età moderna sono state riconosciute come vere e proprie antesignane dei nostri computer, facendo così di Lady Lovelace la prima programmatrice della storia.

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Nel secondo episodio di Victoria, nonostante il leitmotiv della storia sembri voler percorrere la tematica della gelosia, il personaggio di Lady Lovelace non viene mai ritratto in atteggiamenti ambigui nei confronti del principe Albert, di cui condivide esclusivamente l’entusiasmo nei confronti del sapere scientifico. Ma soprattutto, ciò che rende il personaggio di Ada Lovelace perfetto per lo stile di questi episodi e per l’obiettivo che probabilmente intendevano raggiungere è la caratterizzazione di una donna che cerca di emergere in un mondo di uomini, un aspetto che la rende più simile a Victoria di quanto entrambe potessero riconoscere e ammettere.

“There are times, Ma’am, when I wish I had been born a man.” – Ada Lovelace
“You are not alone in that, Lady Lovelace.” – Victoria

Il confronto tra le due donne nel finale, promosso anche dalle parole rassicuranti di Lord Melbourne, rappresenta l’essenza del femminismo di questa serie, portando in scena il momento in cui Victoria e Ada Lovelace si incontrano nelle loro differenze capendo di essere “compagne” di uno stesso destino e non rivali in competizione.

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Non è difficile ritrovare spunti femministi in una serie come Victoria, che nasce proprio con la storia di una giovane donna a capo di una realtà prettamente maschile e patriarcale, e numerosi esempi di questo carattere rivoluzionario si possono riscontrare anche nella stagione d’esordio del period drama, come nel caso del netto rifiuto di Victoria dinanzi alla proposta di cambiare le sue dame di compagnia nonostante appartenessero tutte alla fazione dei Whig (liberali), ma questi primi due episodi della seconda stagione sembrano voler approfondire ancora di più la tematica del femminismo, evidenziando una lotta quotidiana delle donne che dall’800 ad oggi non è poi così cambiata.

La seconda stagione di Victoria andrà in onda ogni Domenica per le prossime tre settimane su Canale 5, che trasmetterà due episodi a serata.

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