Si apre con “It’s summer and we’re running out of ice” l’attesissima serie HBO Watchmen ispirata all’omonimo fumetto di Alan Moore.
La spasmodica attesa è finalmente giunta a una conclusione. L’attesissima serie targata HBO Watchmen è andata in onda la scorsa notte negli Stati Uniti. Lo show articolato su 9 episodi si ispira all’iconica graphic novel di Alan Moore e Dave Gibbons che, pubblicata tra il 1986 e il 1987, ha rivoluzionato per sempre la concezione e la rappresentazione dei supereroi.Sin dal trailer, tuttavia, la produzione ha evidenziato una sua natura ben più complessa di un sequel ambientato tre decenni dopo la storia originale. Sotto la guida dello showrunner Damon Lindelof (Lost , The Leftlovers), Watchmen rimane fedele alla sua ispirazione intrecciando temi cardine del fumetto senza dimenticare uno sguardo attentissimo sull’attualità.
Foto: HBO
Anni Venti, profondo Oklahoma: il Ku Klux Klan mette in atto una drammatica strage uccidendo ogni afroamericano incontrato. Quasi un secolo dopo un brano hip hop accompagna un altro evento altrettanto significativo nella sua dimensione più ristretta. Un sospettato nel corso di un controllo spara al poliziotto che lo ha fermato. L’uomo indossa una maschera inconfondibile: quella di Rorschach, l’iconico personaggio della storia originale di Watchmen. Il brutale atto verrà rivendicato da The Seventh Kavalry, un gruppo di suprematisti bianchi finiti sotto le luci della ribalta per le loro azioni violente contro la polizia e le minoranze. Si tratta di un’emergenza e tutti dovranno prendere una posizione, anche Angela (Regina King), diplomatica pasticcera che, all’occasione, si trasforma nella più spietata detective mascherata sotto il nome di Sister NIght.
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Watchmen: cattivi maestri o allievi distratti?
Tic, toc, tic, toc: l’orologio continua il suo percorso senza interruzioni. L’orologio dell’apocalisse non si è fermato nel 1985 dopo la morte del Comico Edward Blake. Ora però ticchetta incessantemente ricordando a tutti gli ignari protagonisti quanto poco abbiano compreso il loro ruolo, il loro scopo e le loro ambizioni. La maschera di Rorschach – personaggio contraddittorio ma sempre chiaro e limpido nei suoi intenti – diventa un simbolo di razzismo e di odio puro. La maschera, adottata anche dai poliziotti per nascondere la propria identità ai violenti suprematisti, è un mezzo con cui cercare di mantenere le distanze dalle proprie azioni. Il motore di questo Watchmen è l’odio più crudo e viscerale, completamente senza filtri.
E’ interessante, però, notare come la sceneggiatura di questo primo episodio lasci aperte diverse strade. La narrazione corale, infatti, sembra essere volutamente costruita per sembrare viziata dalla prospettiva dei presunti buoni. Sarà davvero così? Il buon Lindelof nella sua carriera ha sempre stupito il suo pubblico.
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Alla luce di quanto detto in precedenza, il legame con l’iconico fumetto di Alan Moore sembrerebbe imprescindibile. Tuttavia le scelte narrative attuate dallo showrunner permettono a Watchmen di rivolgersi al pubblico più ampio possibile. I più appassionati potranno riconoscere situazioni, personaggi e addirittura inquadrature del fumetto. I neofiti, invece, apprezzeranno il ritmo serrato e intrigante senza perdere nemmeno un dettaglio del grande enigma che probabilmente guiderà la serie costellata anche da atmosfere e situazioni criptiche. Dialoghi accurati, la giusta dose di azione e l’accattivante colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross vanno così a coronare un prodotto dall’invidiabile qualità tecnica, rientrando perfettamente nella visione produttiva di HBO.
“There will be no mob justice. Trust in the law.”
Perché scegliere proprio la città di Tulsa? Secondo centro urbano più popolato dell’Oklahoma, la metropoli è stata realmente il palcoscenico del terribile massacro del KKK del 1921, un episodio spesso dimenticato dai libri di storia. Ora Tulsa è una città dall’altissima densità di abitanti che si basa su un’economia priva di particolari caratteristiche che possano distinguerla dall’anonimato. Tulsa diventa quindi una qualsiasi città statunitense di un presente così distante da quello reale ma nemmeno troppo. Piovono piccole seppie e Robert Redford è presidente degli USA ma Watchmen riesce comunque a immortalare la realtà meglio di tanti altri show.
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Una narrazione corale – per cui i ruoli dei singoli devono ancora essere pienamente definiti (in particolare quello del misterioso Adrian Veidt di Jeremy Irons) – sviscera dinamiche sociali attuali e giochi politici tutt’altro che fantasiosi. Nelle riflessioni suggerite trovano spazio, allora, anche rielaborazioni dei movimenti per i diritti delle minoranze, provocazioni e ribaltamenti dei ruoli sulla questione dei conflitti e metodi della polizia e, soprattutto, preoccupanti evidenze dell’odio serpeggiante. I giochi di riferimenti e i toni accattivanti diventano, così, volutamente un semplice modo per rendere fintamente ingenuo e leggero un prodotto che in realtà ha potenziali esplosive nel porre interrogativi al suo pubblico. Il desiderio del pubblico è ora quello di poter assistere a una storia in grado di mantenere tutte le sue promesse.