Il nuovo episodio di Westworld lascia momentaneamente in panchina i leader dello show avventurandosi in riflessioni non banali.
Westworld continua la sua avanzata verso la fine della sua terza stagione. Giunto al giro di boa con l’ottimo quinto episodio, il raffinato show di HBO questa settimana stupisce ancora il suo pubblico con un nuovo cambiamento di toni e atmosfere. È ormai chiaro che Jonathan Nolan e Lisa Joy per questa terza stagione, considerata come una sorta di reboot della serie, abbiano scommesso molto su ogni personaggio in gioco, portando a nuovi livelli le aspettative per tutti i componenti del cast. Il sesto episodio andato in onda negli Stati Uniti la scorsa notte lascia nell’ombra i presunti leader delle fazioni vicine al conflitto. Questa scelta, tuttavia, non toglie fascino a un’accurata ed elegante indagine psicologica di alcune delle personalità più interessanti di questi nuovi episodi.
Se, dopo questa puntata avete però le idee un po’ confuse sugli eventi passati, un veloce viaggio nelle prime due stagioni di Westworld potrebbe rivelare qualche interessante collegamento tra gli avvenimenti.
Foto: HBO
Le metamorfosi di Westworld
L’immagine di William (Ed Harris) rinchiuso contro la sua volontà in un istituto di igiene mentale sembrava segnare l’ultima apparizione del personaggio. Questo episodio sorprende riportandolo in scena come assoluto protagonista. William, infatti, è al centro delle sequenze più affascinanti, sia a livello di impatto visivo che di scrittura. Riflettendo sul suo passato e sul rapporto tragico con la figlia, l’uomo – in alcune scene di confronto che ricordano le sessioni di analisi degli host – inizia un viaggio nella sua mente. Attraverso l’escamotage narrativo di una simulazione, prende così forma la splendida idea di costringere William a confrontarsi con ogni sua versione passata, dal suo io bambino e spaventato fino allo spietato Man in Black che ha perso il senno avventurandosi per Westworld.
Il personaggio è cambiato e si è evoluto nel corso di queste tre stagioni. È un uomo diverso da qualsiasi sua precedente incarnazione che ora risulta falsa e artificiosa. Ora è The Man in White, una figura limpida, analizzata e dissezionata in ogni sua componente ma ancora imprevedibile. I dialoghi tesissimi di Suzanne Wrubel e Lisa Joy vengono quindi supportati da scelte cromatiche ed effetti speciali che, senza mai essere invadenti, sono una costante invisibile di questa sesta puntata.
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Nel frattempo, anche Charlotte Hale (Tessa Thompson) è posta davanti a una missione e, in particolare, a delle scelte complesse. Il vero interrogativo che aleggia intorno a lei, tuttavia, riguarda la sua reale capacità di prendere decisioni: lo stesso personaggio, infatti, inizia a interrogarsi sul suo libero arbitrio. Alleata o semplice pedina di Dolores (Evan Rachel Wood)? Il suo ritorno titubante al quartiere generale di Delos per ostacolare i piani di distruzione degli host ad opera di Serac segna inevitabilmente il suo destino in una stagione che ha radicalmente trasformato il personaggio.
Storie di giocatori e pedine
La scacchiera della terza stagione di Westworld richiede strategie di gioco sempre più complesse. Questo episodio con la regia di Jennifer Getzinger si focalizza su quelle che finora sono rimaste pedine impotenti in mano a giocatori astuti e pericolosi. Dolores e Serac (Vincent Cassel), infatti, sono quasi completamente fuori dalla scena pur essendo cruciali nelle mosse di ogni personaggio. I due leader di host e umani hanno piani ben definiti e sono pronti a sacrificare anche i loro più fedeli collaboratori e addirittura loro stessi – o parti – pur di raggiungere un obiettivo. In una “realtà” già ingannevole e ricca di ostacoli per natura, le pedine del gioco sono invece costrette a fare i conti anche con la loro mente e con il dramma dell’impossibilità di avere il controllo su se stessi e sulla propria vita.
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Le sequenze che vedono protagonista William oltre che un ritorno a sorpresa di Jimmy Simpson sono ricche di effetti speciali che, splendidamente gestiti, non entrano mai in contrasto con la profondità dell’analisi eseguita sul personaggio. Ed Harris conferma la sua bravura nell’incarnare un uomo segnato da profonde ombre. Nel suo caso è interessantissimo osservare come la costruzione delle scene che lo vedono protagonista giochino con astuzia con parallelismi con i bug riscontrati nei codici degli hosts nella prima stagione. The Man in White è solo l’ultima versione del codice di William, un “programma” umano che è stato sovrascritto più volte da eventi e scelte portando a inevitabili malfunzionamenti. E ora quanto è sottile la linea di separazione tra umani e androidi in Westworld?
Il personaggio di Charlotte Hale, ovvero la copia di Dolores nel corpo della dirigente di Delos, a sorpresa si rivela la grande scommessa vinta di questa terza stagione dello show HBO. Da sempre tra le figure più abbozzate, l’androide di Tessa Thompson – che sorprende con un’interpretazione convincente – trova finalmente una sua dimensione complessa e umana. La svolta non avviene grazie al banale elemento della maternità. Essa è possibile attraverso la presa di coscienza della capacità di poter scrivere in modo autonomo il proprio destino. Grande merito di questa epifania, forse non ancora completamente metabolizzata dal personaggio, è da attribuire a una scrittura che con grande lucidità ha posto le basi nel corso dei precedenti episodi per una riflessione inedita sul ruolo delle esperienze personali nella formazione di una propria identità, ben diversa da quella della “Hale-bot” originale.
Inevitabili confronti
Il prologo di questo episodio è segnato da tratti lenti in netto contrasto con la partenza in medias res dell’episodio 5. Per tutta la sua durata, infatti, Decoherence percorre una strada molto diversa da quella di Genre. Gli aspetti più filosofici di Westworld tornano a essere il cuore della narrazione. La componente d’azione, invece, trova spazio con un finale altamente esplosivo che regala anche un curioso riferimento a Terminator. Le domande sulla natura della realtà mostrata, però, sono sempre più insistenti. Il gioco di riflessi tra simulazioni, ruoli e opposti continua a sostenere questa terza stagione. Maeve (Thandie Newton), che appare solo in brevi sequenze ambientate nella simulazione di WarWorld, con il suo percorso funge da collegamento per tutte le riflessioni.
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“You want me to be a saint, but you’re not a saint. You’re not a villain either. And neither am I.”
Con queste parole Dolores, nel confronto “a distanza” con Maeve, inquadra alla perfezione lo spirito e la direzione dello show. Ogni personaggio ora è fuori da schemi prefissati, lontano da ruoli definiti e codici scritti. Per questo motivo ogni distinzione tra buoni e cattivi, mai supportata da Westworld, è ormai completamente fuori discussione. Lo è anche per la stessa Maeve, unico personaggio che al momento non ha avuto un trattamento particolarmente curato a livello di scrittura. I personaggi di Thandie Newton e Evan Rachel Wood sono simili con la loro determinazione quanto diversi nel loro modo di vedere la realtà. Questo, tuttavia, non implica che una delle due debba essere necessariamente un villain. Il disaccordo, non la natura malvagia – sempre se può esistere davvero questo concetto nel mondo di Westworld -, crea confronti che possono sfociare in terribili contrasti.
Sarà quindi interessante vedere come Maeve, al servizio di Serac, affronterà finalmente concretamente Dolores. Il suo spirito imprevedibile, tuttavia, potrebbe riservare non poche sorprese all’ideatore di Rehoboam. Niente, infatti, è scontato quando si parla di questo show che continua a reinventarsi.