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Doctor Who: l’importanza di chiamarsi Companion

Una delle novità più entusiasmanti che ci aspettano nell’undicesima stagione di Doctor Who riguarda l’ampliamento del team di companion, composto infatti da ben 3 personaggi che intrecceranno le loro vite con quelle del Tredicesimo Dottore. Ma questa nuova epoca di Doctor Who porta con sé inevitabili confronti e discussioni e ciò che oggi vogliamo indagare è: è stato mai davvero capito e apprezzato il ruolo della Companion?

In una recente intervista, Chris Chibnall, nuovo showrunner e produttore esecutivo di Doctor Who, ha presentato il nuovo volto della storica serie sci-fi, tra piccole rivoluzioni e catartici cambiamenti ma una delle novità più affascinanti dell’undicesima stagione di Doctor Who riguarda il rinnovato team TARDIS, più numeroso del solito comprendendo infatti tre compagni d’avventura che condivideranno con il Dottore di Jodie Whittaker gli aspetti più entusiasmanti, elettrizzanti e inevitabilmente pericolosi della loro vita insieme.

Commentando le sue scelte e in particolar modo la decisione “involontaria” di ricostituire una squadra che sembra richiamare la formazione del primissimo team di partenza di Doctor Who, ossia quello messo insieme da Verity Lambert nel 1963 e composto da William Hartnell nel ruolo del Primo Dottore e da Carole Ann Ford, Jacqueline Hill e William Russell, nei ruoli dei companion Susan Foreman, Barbara Wright e Ian Chersterton, Chris Chibnall ha presentato la sua visione del personaggio del Companion (solitamente una donna) con una riflessione che mi trova contemporaneamente favorevole e contraria.

Da una parte infatti, la decisione di Chris Chibnall di “popolare” il TARDIS e la vita del Dottore con tre personaggi che già solo a partire dalla loro ideazione appaiono completamente diversi l’uno dagli altri si è rivelata una delle più adatte e coerenti per una serie come Doctor Who, poiché questo ha permesso al nuovo showrunner di raggiungere uno dei suoi obiettivi di partenza, vale a dire ampliare il pubblico di riferimento di Doctor Who, di una serie che proprio per la valenza tematica e sociale che abbraccia merita di essere riconosciuta nella sua straordinarietà dalla più vasta gamma di persone.

Scegliere una giovane ragazza in cerca di affetti sinceri come Yasmin, un ragazzo un po’ ribelle e determinato come Ryan e un uomo di mezza età con una vita da ricominciare come Graham, tutti loro differenziati per età, genere ed etnia, ha significato per una serie come Doctor Who rendere evidente il desiderio di coinvolgere nella sua storia chiunque voglia rivedersi in essa, includere nel proprio universo tutti coloro che sceglieranno di salire a bordo del TARDIS e soprattutto aprire le sue porte a chi magari si era sempre sentito un po’ un outsider nei confronti di una serie che ha già un passato sostanzioso.

Ma dall’altra parte, continuando, il nuovo showrunner di Doctor Who ha poi specificato di preferire per questi stessi personaggi la definizione di “friends” e non più quella iconica di “Companion” per cercare in questo modo di eliminare le distanze tra la protagonista e i suoi nuovi compagni d’avventura. Se la prima parte di questa sua affermazione quindi ribadisce proprio l’importanza ormai innegabile di questi personaggi, la seconda però sembra confermare anche un’interpretazione di base erronea di queste figure.

Senza nulla togliere infatti alla decisione innovativa di aver scelto per la prima volta una donna nel ruolo di Dottore, ciò che questo cambiamento epocale porta spesso con sé è una sorta di confronto, come se il traguardo di aver avuto finalmente una protagonista femminile compensasse una storia mancante di questa componente perché prima le donne erano SOLO Companion.

Ed è proprio qui che, almeno da un punto di vista soggettivo, giace l’errore di considerazione. Perché da donna non soltanto mi sono sempre sentita rappresentata nel migliore dei modi da Doctor Who ma anche perché essere una Companion non dovrebbe essere visto come un premio di consolazione ma come un traguardo ultimo, alla pari dell’essere il Dottore.

Generalmente parlando, innanzitutto, bisogna chiarire quanto il termine Companion non sia affatto discriminante o dispregiativo nei confronti di questa categoria di personaggi e né segna una classe di caratterizzazione di serie B rispetto al protagonista.

L’idea di companion nasce proprio per opporsi all’idea di “assistent, di ordinaria spalla o supporto, e racchiude, almeno in Doctor Who, una gamma di significati più sfumati e particolari dell’etichetta “friend”, perché il companion nell’universo whovian non è solo un sidekick che segue il Dottore nei suoi viaggi e nelle sue avventure, non è un tradizionale Robin per un Batman, ma è letteralmente un compagno che condivide la sua vita con quella del Dottore, è qualcuno che mette presto in conto tutti i rischi che quelle avventure comportano e li accetta e non solo per “seguire” il Dottore con cui inevitabilmente si crea un legame simbiotico ma soprattutto per seguire il proprio bisogno di evasione, di espandere i propri orizzonti, di realizzare sogni e di essere qualcosa di più di ciò che si è sempre stati.

“You don’t just give up. You don’t just let things happen.
You make a stand! You say no!
You have the guts to do what’s right
even when everyone else just runs away.” – Rose Tyler

 “You’ve given me something else … to be” – Clara Oswald

Queste parole, tra le tante, riassumono e racchiudono nel loro significato la quintessenza della natura di una Companion in Doctor Who: non è la decisione di affiancare il Dottore quella che conta ma la SCELTA di vivere con lui, sul suo stesso livello eppure sempre a modo proprio. È sbagliata dunque l’idea di fondo di considerare la Companion come +1 e non come una protagonista indispensabile per la storia e per il Dottore stesso. E vi dimostro il perché.

Le protagoniste di Doctor Who: Rose Tyler

C’è un dettaglio dell’iconico ritorno sulla BBC di Doctor Who nel 2005 ad opera di Russell T Davies che spesso viene dato per scontato o ignorato nel suo effettivo significato: il primo episodio della nuova era di Doctor Who porta il titolo di “Rose, semplice, definito, inconfondibile. Prima ancora del Dottore, prima di conoscere il suo nuovo volto e la sua “nuova” storia, noi vediamo Rose Tyler, è a tutti gli effetti Rose Tyler [Billie Piper] che nel lontano 2005 ha guidato il timido ma straordinario ritorno di questa serie epica e probabilmente è anche grazie a lei se dopo 13 anni siamo ancora qui a parlarne.

L’importanza di Rose Tyler non solo per Doctor Who in quanto serie ma proprio per il Dottore come personaggio e protagonista è stata troppe volte ridimensionata e ridotta quasi esclusivamente a ruolo di “interesse amoroso” del Dottore, di cui è stata spesso definita “girlfriend”. Ma seppur travolgente, intenso ed emozionante come pochi, l’amore che Rose Tyler ha provato per il Dottore non definisce assolutamente né lei né la sua presenza in Doctor Who.

Rose Tyler non ha soltanto accompagnato il Dottore in questa fase “moderna” di Doctor Who ma ha guarito, con la sua umanità e con il suo sguardo inconsapevole e per questo privo di giudizi e di preconcetti, la sua ferita più profonda e insanabile.

Rose Tyler ha saputo dimostrare compassione per un Dalek e poi ha anche saputo combatterlo, ha riconosciuto la rabbia e l’odio celato dal Dottore e l’ha trasformato in un sorriso, ha trovato la sua solitudine e l’ha illuminata con la sua energia, la voglia di vivere, la fiducia totale che gli ha sempre riservato. Rose Tyler è stata la prima Companion della nuova era di Doctor Who a dimostrare cosa significhi questo ruolo, ad accettare di vivere i suoi giorni più felici e di farsi spezzare il cuore dopoperché per certe cose vale la pena farsi spezzare il cuore”, a raggiungere la parte più recondita e oscura del Dottore e guarirla con umana bontà.


Le protagoniste di Doctor Who: Martha Jones

Martha Jones è, con ogni probabilità, la Companion più sottovalutata di Doctor Who ma la verità è che se si osserva in prospettiva il percorso compiuto da Martha in Doctor Who si nota facilmente quanto questo sia stato quasi contrastante nella sua caratterizzazione perché se Martha è stata la Companion che più ha ammesso apertamente il sentimento di natura romantica che ha provato per il Dottore, è anche stata quella che più si è allontanata da lui, consapevolmente, rimanendo però fedele alla persona che era diventata al suo fianco.

L’importanza di Martha Jones come Companion in Doctor Who sta proprio nella sua straordinaria crescita, nella sua capacità sorprendente di sfidare il Dottore e tenergli testa anche quando lui non condivideva le sue decisioni.

Martha Jones è stata una Companion “insolita” per Doctor Who, se così possiamo definirla, perché è stata l’unica che ha consapevolmente e volontariamente lasciato il TARDIS ma è stata anche quella che ha definito la sua vita e la sua personalità tramite ciò che il Dottore le ha mostrato e insegnato. In Doctor Who, Martha Jones è stata la donna che ha diffuso il messaggio del Dottore in tutta la Terra, che ha spinto l’umanità a credere in lui e che alla fine è andata via con il dono più prezioso: una nuova consapevolezza di sé.

Le protagoniste di Doctor Who: Donna Noble

Donna Noble è senza ombra di dubbio una delle Companion più amate del “nuovo” Doctor Who e allo stesso tempo probabilmente la Companion col fato più avverso, un destino che ha posto fine a un’avventura che appare ora quasi come un sogno lontano ma che si è rivelata tanto intensa da raggiungere empaticamente forse la maggior parte del seguito di Doctor Who.

L’aspetto di Donna Noble che più ha travolto il fandom della serie è stato probabilmente proprio il suo carattere così ordinario, così frizzante eppure vulnerabile, così sicuro di sé eppure così dimesso ed emotivo a volte. Donna sapeva essere e portare in scena una parte di tutti noi ma più di ogni altra cosa è stata per il Dottore un supporto e una sfida al tempo stesso, è stata protagonista e spalla, assolutamente e perfettamente umana in ogni suo gesto e in ogni sua freddura. In Doctor Who, Donna Noble è stata un uragano che si è imposta senza riserve e senza condizioni ma è anche stata l’unica a non rendersi conto della sua unicità.


Le protagoniste di Doctor Who: Amy Pond

Contrariamente alle premesse con cui il personaggio è stato ideato e apparentemente presentato, in contrasto anche con il casting stesso che ha trovato in Karen Gillan il “depistaggio” perfetto, Amy Pond è stata probabilmente nell’epoca moderna di Doctor Who la Companion più “innocente” che ha affiancato il Dottore nella sua personalità più “ingenua”.

Al di là delle sembianze da femme fatale, Amy Pond è sempre rimasta fedele alla sua prima comparsa in Doctor Who, quella di una bambina piuttosto sola che sapeva badare a se stessa ma che sperava che qualcuno potesse affiancarla in questo compito, una bambina che viaggiava con la fantasia in ogni modo possibile, che guardava le stelle e trasformava la sua ordinarietà per renderla meno grigia, meno standardizzata a ciò che la società richiedeva.

Amy Pond era in Doctor Who una donna col cuore da bambina, è stata la Companion che più ha costruito con il suo Dottore, l’Undicesimo, un rapporto puramente familiare, oltre gli imbarazzanti e assurdi tentativi di romanticizzare il loro legame, oltre quell’eccentricità così apparente. Amy Pond e la sua perfetta metà, Rory Williams, sono stati in Doctor Who i Companion più “domestici”, quelli che hanno condiviso con il Dottore la sua casa e la loro.

Le protagoniste di Doctor Who: Clara Oswald

Clara Oswald è una Companion caleidoscopica, sfaccettata, antitetica, se così possiamo definirla, perché racchiude nella sua caratterizzazione la conferma di quanto le Companion di Doctor Who siano ancora personaggi sottovalutati e la ragione per cui invece debbano essere considerate protagoniste a tutti gli effetti tanto quanto il Dottore.

Manifesto dunque della tesi che questo articolo intende dimostrare, Clara Oswald ha spesso attirato le antipatie dei fan proprio perché anziché essere ciò che lo spettatore medio di Doctor Who si aspettava che lei fosse, ossia “solo” una Companion, Clara si è imposta, Clara si è presa lo spazio che meritava, ha imparato dal Dottore tutto ciò che c’era da sapere e l’ha fatto restando al suo fianco e sul suo stesso livello, l’ha fatto rendendosi indispensabile, maturando, cominciando a guardare la loro vita insieme nello spazio e nel tempo come l’unica vita a cui fosse destinata.

Ma proprio nel suo protagonismo, Clara Oswald ha salvato il Dottore più volte di quanto si possa immaginare ma l’ha fatto molto prima di entrare nella sua linea temporale adempiendo alla sua “missione” di Impossible Girl e poi ha continuato a farlo per molto tempo dopo essersi liberata di quell’etichetta ed essersi affermata semplicemente nella sua magnifica umanità.

Clara Oswald ha salvato l’Undicesimo Dottore dalla sua cupa solitudine dopo aver perso Amy e Rory, ha instillato nuovamente in lui la curiosità, l’entusiasmo, la voglia di rimettersi in gioco e di ricominciare a correre e a perdersi nell’universo senza mai mettere radici; ha salvato il Dodicesimo Dottore dalla sua ora più buia, l’ha salvato dai suoi rimpianti, dai dubbi, dai cambiamenti, e l’ha fatto non rinunciando mai a lui, l’ha fatto tornando al suo fianco anche quando credeva di non conoscerlo più.

Clara Oswald ha salvato il Dottore perché gli ha ricordato costantemente chi fosse, perché gli ha permesso di porre rimedio al suo errore più grande e ha disegnato per lui la strada di casa.

Le protagoniste di Doctor Who: Bill Potts

L’ultima Companion che abbiamo conosciuto, nonostante rappresentasse un atto conclusivo per Doctor Who, quello dell’epoca segnata da Steven Moffat e dal suo eccelso lavoro, ha simboleggiato invece per il Dottore un nuovo inizio, una spinta per ricominciare a credere, per ricominciare a sperare e ad avere fiducia nel significato più autentico della sua missione, anche dopo aver perso più di quanto potesse letteralmente ricordare.


Bill intendeva essere fin dal principio, sia per il Dottore che per la fase di Doctor Who di cui è stata protagonista, un nuovo capitolo leggero e spensierato e come tale si è imposta nella vita del Dodicesimo Dottore e del TARDIS, senza alcuna consapevolezza delle stranezze e delle meraviglie che avrebbe affrontato, con un’umana semplicità e un’incondizionata bontà che hanno convinto il Dottore che valesse ancora la pena restare accanto agli uomini così imperfetti.

In conclusione, l’obiettivo di questo articolo è lo stesso fin dal principio: al di là delle preferenze e dei favoritismi, al di là delle storie raccontate in Doctor Who e del Dottore stesso, la figura della Companion non dovrebbe mai essere considerata un’aggiunta al protagonista ma una controparte di pari livello e spessore. Per quanto mi riguarda, volevo essere una Companion prima e lo voglio ancora oggi.

Rita Ricchiuti

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Rita Ricchiuti

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