Assassin’s Creed Odyssey prova a far rinascere la saga rinnovandola da cima a fondo. Sfortunatamente, nel processo si sono dimenticati di curare la parte più importante: la storia.
È passata una settimana. Sono sette giorni che stiamo giocando ininterrottamente ad Assassin’s Creed Odyssey dalla mattina alla sera. La sensazione che si prova è di vivere una vera e propria Odissea, dato che la trama principale che lega le avventure di Alexios/Kassandra sembra senza fine e ci ha costretto ad esplorare la Grecia in tutta la sua grandezza. Più di sessanta ore di gioco per completare l’epico viaggio di un misthios alla ricerca della sua famiglia e della sua identità perduta, tra intrighi politici e strategie militari. Tutto questo per riuscire a portarvi una recensione ben più che completa e, soprattutto, per cercare quel senso di appagamento che viene scaturito dallo scoprire la verità, la vera conclusione degli eventi. Appagamento che, con nostro estremo rammarico, non abbiamo neanche scorto in lontananza.
La saga di Assassin’s Creed è sempre stata famosa per la grande attenzione riservata alla storia principale che contraddistingueva ogni singolo capitolo. Anche se Ubisoft, con il tempo, stava iniziando a smarrire la via, la trama che sosteneva le avventure nei vari periodi storici era convincente e anche emozionante, a volte. Il precedente capitolo, Assassin’s Creed Origins, seppur non raccontando una storia estremamente avvincente, riusciva a convincere grazie al modo delicato con cui raccontava le vicende.
Risulta, quindi, alienante trovarsi di fronte una trama povera, inconsistente e, soprattutto, raccontata in modo estremamente freddo e distaccato. Il problema, però, non riguarda la storia principale nella sua interezza. Infatti, Assassin’s Creed Odyssey ti cattura proprio perché vuoi sapere dove vada a parare questa trama ricca di vicende, luoghi mitologici e personaggi storici (forse mai prima d’ora in numero così elevato). Si viene attirati come dal canto delle sirene, ammaliante, misterioso e avvolgente, per poi scoprire che dinanzi agli occhi si trovano solo scogli; dolorosi e inaspettati scogli martoriati dalla spuma delle onde in tempesta.
Il finale del gioco è lo scoglio che non ci si aspetta, che lacera l’imbarcazione sulla quale si è viaggiato in sicurezza fino a quel punto di non ritorno. Un finale che distrugge tutte le aspettative che si erano create. Che disintegra l’ultima speranza di trovare una vera conclusione, emozionante, soddisfacente, che redima le piccole ma evidenti sciatterie narrative che lo sguardo ha dovuto sopportare per raggiungere quel momento che doveva rappresentare l’apogeo della narrazione.
Tutto svanisce in pochi secondi, effimeri, futili secondi che uccidono l’intera esperienza maturata nelle precedenti sessanta ore di gioco. Sessanta ore di dialoghi freddi, privi di emotività, distaccati, ma non perché siano scritti in quel modo. Il problema, il punto della situazione, l’estremità del Filo di Arianna è la totale mancanza di espressività facciale nella maggior parte dei dialoghi e la scomparsa di una regia efficace. Come, nel giro di un anno, le fantastiche espressioni facciali di Assassin’s Creed Origins si sono tramutate in questa freddezza meccanica? La risposta è semplice: la scelta multipla.
Per quanto possano essere interessanti, le scelte multiple (soprattutto se utilizzate con superficialità) molto spesso eliminano l’efficacia emotiva dei videogiochi. Questo accade con titoli come Fallout e The Elder Scrolls (sia chiaro, qui non sono utilizzate superficialmente, anzi), dove ci si innamora più che altro del mondo di gioco e dei suoi abitanti piuttosto che della storia principale, la maggior parte delle volte debole e mal raccontata. Questo perché, in giochi di questo genere (RPG e tutti i suoi infiniti sottogeneri) le vicende vengono estremamente diluite in favore dell’espolazione dell’ambiente circostante e dell’avanzamento di livello. Il che non è un problema, dato che è quello il fulcoro di questi giochi.
Il problema sorge quando si ha un passato completamente diverso alle spalle. La saga di Assassin’s Creed ci ha sempre abituato ad una trama lineare, semplice, ma (quasi sempre) ben scritta. Origins era riuscito a trovare un ottimo bilanciamento: meccaniche RPG inserite in una narrazione tipica dei giochi action/adventure. Assassin’s Creed Odyssey ha voluto fare il “salto” verso l’RPG puro inserendo le scelte multiple. Ed è proprio qui che ha parzialmente fallito. Se da un lato rendono l’esperienza più dinamica e personale, dall’altro la rendono statica e priva di mordente visivo. Sembra strano, ma nella sua dinamicità questo Assassin’s Creed Odyssey è statico.
Principalmente perché, per realizzare queste scelte, non si può fare sempre affidamento alle scene di intermezzo, con regia e movimenti pensati in anticipo da sviluppatori e creatori. L’incognita della nostra scelta porta a dover utilizzare il gioco così com’è, con le sue animazioni e le sue mancanze. Di conseguenza, sembra tutto sconnesso, frammentato in vari segmenti uniti goffamente dal basilare e rozzo sistema di scelte.
Non c’è fluidità nei dialoghi. Non c’è espressività nei volti anche quanto il doppiaggio indica il contrario. Espressioni di dolore scompaiono in modo istantaneo per lasciare spazio ad un sorriso asettico. Animazioni si interrompono in modo brusco o irrompono con altrettanta irruenza. Tutto sembra fittizio, surreale. Spinge il giocatore a distaccarsi dalle vicende, a non provare empatia per ciò che sta vedendo.
Si salvano solo le pochissime scene di intermezzo, dove si possono ammirare le magnifiche scelte registiche già viste in Assassin’s Creed Origins. Qui le animazioni sono di altissimo livello e l’esperessività dei personaggi fa tornare alla mante il volto di Bayek solcato da lacrime e rabbia presente nel precedente capitolo. Però, questi momenti sono talmente rari che quasi scompaiono in confronto alle inquadrature appena abbozzate, ai pianti con il viso di pietra e alle movenze interrotte da un repentino cambio di umore.
Le scelte sono la base di tutto, sin dai primi istanti di gioco. Infatti, abbiamo la possibilità di scegliere quale eroe sarà il nostro “campione”, il nostro “Ulisse” in questa Odissea (che niente ha a che vedere con il poema epico di Omero, sia ben chiaro). Alexios o Kassandra. Uomo o donna. Fratello o sorella. Qualunque sia la scelta, saremo sempre nipoti di Leonida, eroico guerriero spartano che difese la Grecia dai persiani con i suoi leggendari 300 di Sparta. Dopo eventi che non vi sveleremo, ci ritroviamo a vivere sull’isola di Cefalonia, ma qualcosa in noi scatta e ci vediamo costretti a solcare il mare in cerca del nostro destino e delle nostre origini.
Come abbiamo già detto, la trama potrebbe essere anche interessante, se non fosse per il fatto che è raccontata con pochissima enfasi e, soprattutto, senza colpi di scena (che non sono necessari se le vicende raccontate non ne hanno bisogno, ma qui se ne sente proprio la necessità). Soltanto un risvolto ci ha veramente sorpreso, ma solo perché arriva veramente inaspettato ed è quasi impossibile da dedurre, dato che il tempo di ragionamento tra un evento e l’altro è troppo breve. E quello forse è l’elemento che più deve interessare al giocatore, l’evento per cui ha atteso a lungo: un incipit di dove possa andare a parare ora la saga.
Ci troviamo ad una svolta. Con questo capitolo la saga di Assassin’s Creed è ufficialmente morta, ma non perché non sia più Assassin’s Creed. La questione va oltre. La saga si sta preparando ad una nuova ascesa. È pronta a risorgere come una fenice dalle sue stesse ceneri.
Forse questo Assassin’s Creed Odyssey rappresenta solo un capitolo riempitivo, tirato fuori dal cilindro delle idee per cercare di tappare i buchi lasciati dalle trame dei precedenti capitoli alla bell’è meglio, ma è indubbio che Ubisoft abbia in mente un futuro diverso per la saga. Ciò che preoccupa maggiormente, però, è se anche i prossimi capitoli saranno raccontati male come questo Assassin’s Creed Odyssey. Speriamo vivamente che riescano a (ri)trovare la strada giusta.
Tra tutti i problemi relativi la trama ce ne è uno che irrita maggiormente, ovvero che le scelte multiple potevano benissimo non essere presenti. Sono un’aggiunta rozza al gioco e molto presto si capisce la loro inutilità. Questo perché le scelte che facciamo hanno un’influenza veramente minima sulle nostre avventure. Poche sono le decisioni che cambiano di punto in bianco la nostra partita. Se qualcosa va storto, si trova sempre il modo di rimediare.
Perché la storia, qualunque sia la strada che sceglieremo di percorrere, ci porterà inevitabilmente verso il finale, un finale privo di significato, inconsistente, inesistente. Eppure iniziava talmente bene, con molte idee, molte prospettive, molte speranze. Alla fine il destino tanto millantato dal protagonista, così fiero di scegliere la sua strada, non è altro che il normale divenire. Un divenire incerto, lontano. Talmente lontano da trasformare un semplice viaggio in un’Odissea degna di Omero.
Assassin’s Creed Odyssey (anche se presenta una trama estremamente promettente, ma debole per i motivi appena citati) risulta comunque un gioco mastodontico. Forse è anche questo il problema principale della storia: il fatto di dover giocare veramente tantissime ore prima di poter concludere tutte le “missioni Odissea” (ovvero le quest primarie).
Tuttavia, non vi aspettate quaranta ore di trama principale, perché non è così. Infatti, la storia sarebbe anche corta (forse troppo) se non fosse per il fatto che molte di queste missioni, una volta sbloccate, sono di livello infinitamente superiore al vostro. Quindi, siete costretti a vagare per ore in cerca di punti esperienza per salire di livello.
Questa è una strategia non nuova, ma qui viene sfruttata come mai prima d’ora (forse viene battuto solo da La Terra Di Mezzo: L’Ombra Della Guerra). Infatti, per completare la storia in tutta la sua interezza, dovrete raggiungere il livello massimo, ovvero il 50 (anche se potete benissimo cavarvela con un 48 a livello normale). Solitamente, in giochi di questo tipo, le missioni principali aiutano ad avanzare di livello in modo tale da seguire con costanza la storia senza dover fare grandi pause in termini di sviluppo della trama. Qui, invece, la progressione è molto più lenta del normale e salire anche solo di un livello potrebbe farvi impiegare ore e ore di gioco.
Di conseguenza, il giocatore è obbligato a dover scorrazzare in giro per la Grecia in cerca di missioni secondarie e attività collaterali che possano aiutarlo ad avanzare rapidamente di livello. Dopo qualche ora, seppur la qualità delle quest secondarie sia molto elevata e ben differenziata (in termini narrativi, non di gameplay), la cosa inizia a dare fastidio. Capiamo che quella di Alexios e Kassandra sia un’Odissea (e un’Odissea senza “cambi di rotta” non può essere definita tale), ma forse si sono spinti un po’ troppo oltre.
Se c’è un motivo per cui ogni anno il mondo aspetta il nuovo capitolo di Assassin’s Creed è per veder quanta dedizione e attenzione ai dettagli sono riusciti ad inserire nel nuovo capitolo. Ubisoft è rinomata per la sua attenta ricerca agli usi e ai costumi dei luoghi che utilizza nei suoi giochi. Non parliamo solo della saga di Assassin’s Creed, ma anche di titoli quali Watch Dogs, Ghost Recon (Wildlands in particolare), Far Cry, The Division e chi più ne ha ne metta.
Assassin’s Creed, però, si è sempre differenziato dalle altre produzioni per l’altissima fedeltà storica delle città e delle regioni utilizzate nei vari titoli.
L’Italia Rinascimentale, la Francia della Rivoluzione, il Mar dei Caraibi di inizio ‘700, l’Egitto Tolemaico, la Terra Santa della Terza Crociata…
Questo è stato l’anno dell’Antica Grecia, quella divisa dalla Guerra del Peloponneso tra Sparta e Atene. Un periodo storico esplorato poche volte nel mondo dell’intrattenimento e quasi mai in modo realistico (per quanto possa essere realistica la Grecia creata da Ubisoft). La software house franco-canadese è riuscita a creare una versione della Grecia Antica molto convincente, anche se si è presa alcune “licenze poetiche” dovute alla natura prettamente fantastica e non realistica di alcuni elementi fedeli alla saga. Prima tra tutti la presenza di strutture appartenenti alla Prima Civilizzazione, che con poche possibilità riuscirete a trovare in giro per la Grecia.
Sotto il punto di vista della fantasia, questo Assassin’s Creed Odyssey si è spinto molto più lontano di qualsiasi altro capitolo della serie. Sono, infatti, presenti creature mitologiche come il Minotauro, la Sfinge, il Ciclope e Medusa, che difficilmente potevano essere esistite in quel periodo, o per lo meno, non nella forma mostruosa che tutti ci immaginiamo. Già Origins aveva iniziato a calcare la mano con le Sfide Degli Dèi, ma tutto si collegava ad un bug nella simulazione. Questa improvvisa spinta non rende l’esperienza meno piacevole, anzi, i miti e le leggende si amalgamano alla perfezione all’interno di questo mondo influenzato pesantemente dagli dèi. Stranamente, non dà alcun fastidio passare dalla democratica Atene, piena di storia e sapere, realistica fino al midollo, al labirinto del Minotauro nascosto sotto il Palazzo di Cnosso nell’arida e misteriosa Creta.
Assassin’s Creed Odyssey è, come abbiamo già accennato, un gioco immenso. Ma non perché contenga molti contenuti inseriti dentro a forza, bensì per questo mondo vivo e pulsante che incita ad esplorare e a scoprire ogni singolo segreto di queste terre antiche.
Oltre alle più che varie missioni secondarie, troviamo contratti di guerra, mercenari, arene dove sfidare i combattenti più pericolosi dell’Egeo, battaglie navali, tesori sommersi, grotte inaccessibili, taglie da cacciare, animali mitologici da affrontare, punti d’osservazione da sbloccare, armi e armature leggendarie appartenute a guerrieri del passato, battaglie campali tra Sparta e Atene, regioni da indebolire per far predominare una fazione piuttosto che l’altra, tombe da saccheggiare, rovine di antichi insediamenti da esplorare.
Insomma, ovunque si posi il nostro sguardo c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. In definitiva, fa più piacere avventurarsi liberamente per la Grecia che seguire la trama principale, anche perché molto spesso è estremamente più interessante.
Il gameplay di Assassin’s Creed Odyssey rappresenta uno sguardo al passato e, al contempo, un passo verso il futuro. Infatti, ritroviamo le battaglie navali introdotte diversi anni fa con Assassin’s Creed III e pesantemente migliorate da Black Flag. Però, non siamo più al comando di un galeone, bensì di una trireme in perfetto stile greco, l’Adrestia. Il gameplay a bordo di essa, tuttavia, rimane sostanzialmente invariato, addirittura semplificato nelle sue meccaniche, ma pur sempre efficace e divertente.
Quando ci troviamo sulla terra ferma, invece, sostanzialmente stiamo giocando ad una versione migliorata di Assassin’s Creed Origins. Prima di tutto, non abbiamo più lo scudo a difenderci da ogni attacco, ma dovremo utilizzare o la parata con l’arma, o la schivata (presente anche nel precedente capitolo).
Inoltre, le abilità speciali in combattimento sono state completamente riviste. Niente più mossa speciale singola per ogni arma. Ora possono essere attivate in combattimento tramite la rispettiva ruota delle abilità, grazie ad una combinazione di tasti ben congegnata. In pieno stile Dragon Age, potremo sceglierne solo quattro per il corpo a corpo (si arriva ad otto avanzando di livello) e quattro per la distanza. Queste possono essere sbloccate tramite l’albero delle abilità classico. Sta al giocatore decidere quale strategia utilizzare, se essere più silenzioso o più impulsivo.
Per quanto riguarda l’esplorazione, invece, rimane tutto invariato. Una sola cosa cambia. Un piccolo elemento che ribalta completamente tutto il gameplay di Assassin’s Creed Odyssey. Non si muore più se si cade da altezze considerevoli. Inizialmente ci faremo male, a volte riducendo la vita al minimo, ma una volta raggiunto il livello 20 tutto cambia. Non si subiscono più danni da caduta. E allora, da questo momento in poi, uccidere i bersagli più impegnativi non è mai stato così facile.
Basta attaccare furtivamente, scappare (possibilmente gettandosi da una scogliera o un’altura), aspettare che l’allerta passi, tornare dal bersaglio, attaccarlo ancora furtivamente e continuare così fino a che non muore.
E si può fare con ogni nemico del gioco, anche se ha il livello spropositatamente più alto del nostro. Un trucco stupido, poco professionale, ma efficace. Di conseguenza, la difficoltà del gioco diventa un problema solo quando non si può scappare dallo scontro.
E questa è una delle cose che abbiamo notato del gameplay di Assassin’s Creed Odyssey (che sia positiva o negativa, lasciamo a voi il giudizio), ovvero l’estrema facilità nel trovare vie alternative e sotterfugi che mettano alla prova l’intelligenza artificiale del gioco che, come sempre, risulta tutt’altro che intelligente. Fortunatamente, questi metodi non sono troppo noiosi o svilenti, ma regalano sempre qualche soddisfazione, soprattutto quando si utilizza l’abilità del Calcio di Sparta. Il gameplay di questo Assassin’s Creed Odyssey, seppur non essendo formidabile, è divertente e intrattiene egregiamente, tanto da non farvi mai dire di no ad uno scontro contro intere guarnigioni o ad un’esplorazione in grotte sperdute.
Tecnicamente Assassin’s Creed Odyssey è estremamente enigmatico. A volte sembra un gioco formidabile, dal sistema di illuminazione stupefacente e dalla qualità grafica impeccabile. Altre volte sembra tecnicamente datato, privo di mordente, asettico. Non si riesce bene a capire se raggiunge i livelli di Assassin’s Creed Origins oppure se neanche ci si avvicina.
L’anno scorso, con l’altro capitolo, avevamo notato quantità infinite di dettagli, piccoli elementi di gioco formidabili e mai visti prima in un videogioco. Quest’anno non abbiamo avuto le stesse sensazioni, ma forse solo perché tutte le implementazioni dello scorso capitolo sono presenti anche in questa nuova avventura e quello che ci era sembrato nuovo e mai visto, ora non lo è più.
Tutto sommato, però, Assassin’s Creed Odyssey si difende molto bene rispetto alla concorrenza, con un colpo d’occhio veramente egregio, complice principalmente il fatto di contenere una quantità molto elevata di opere d’arte formidabili e, soprattutto, di ospitare così tanti biomi differenti.
E che avventura sarebbe senza una colonna sonora che ci accompagni nel nostro viaggio? Forse il commento musicale dei The Flight non è incisivo e mastodontico come la magnifica colonna sonora di Assassin’s Creed Origins, ma si difende veramente bene, anche perché ha un sound che ricorda molto più la Grecia Antica di quanto non faccia quella del precedente capitolo con l’Egitto.
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