Vediamo perché God Of War, soft-remake di una delle sage più importanti di PlayStation, ha trionfato ai The Game Awards, portandosi a casa il premio di “Gioco dell’anno”.
Questo 2018 è stato uno degli anni più intensi che il mondo videoludico abbia mai visto. In questi dodici mesi abbiamo avuto l’occasione di provare alcuni dei titoli più rivoluzionari di sempre, sia da un punto di vista tecnologico che narrativo. È stato l’anno del riscatto per i videogiochi supereroistici con l’arrivo di Marvel’s Spider-Man, ma anche l’anno degli indie, con protagonisti Celeste e Dead Cells. Anche Switch si è fatta notare quest’anno grazie a Super Smash Bros. Ultimate, rilasciato proprio la settimana scorsa. Ma soprattutto questo 2018 verrà ricordato per due giochi in particolare: Red Dead Redemption 2 e God Of War. Tutti davano per scontato che l’indiscusso vincitore del premio di “Gioco dell’anno” ai The Game Awards fosse il nuovo capolavoro di Rockstar, ma God Of War ha sbaragliato tutti, portandosi a casa la statuetta. Vediamo perché il nuovo gioco di Santa Monica Studios ha trionfato ai The Game Awards.
God Of War Gioco Dell’Anno
Perché God Of War è il GOTY per i Game Awards
Red Dead Redemption 2, come abbiamo già detto nella nostra recensione, ha ridefinito il mondo dei giochi open-world esattamente come aveva fatto lo scorso anno The Legend Of Zelda – Breath Of The Wild. La sua immensità, la sua storia così pregna di sentimento, il suo comparto tecnico fantascientifico per i giochi a mondo aperto odierni. Ogni elemento di questo gioco è il futuro del mondo videoludico, puro e semplice. Tuttavia, manca qualcosa. Manca quell’elemento veramente caratterizzante. Manca una vera evoluzione, un vero salto della fede in territori inesplorati.
Quando il cinema incontra i videogiochi
Proprio qui si intromette a gamba tesa God Of War. Il nuovo capolavoro dei Santa Monica Studios differisce per molti aspetti dall’altro capolavoro di casa Rockstar, ma uno spicca più di tutti: la regia. Certo, non bisognerebbe cercare in modo così spiccato la regia in un videogioco perché a prima vista sembrano due medium completamente diversi, ma non ci accorgiamo mai che non sono altro che la diretta evoluzione l’uno dell’altro. Il cinema attinge dai videogiochi allo stesso modo di come i videogiochi attingono dal cinema.
Sono anni che i teorici di nuovi media si domandano se le due cose siano correlate e, ora più che mai, non si può rimanere ciechi di fronte a ciò che è evidente. God Of War è l’esempio perfetto dell’inevitabile incontro tra videogiochi e cinema. Infatti, questo si regge in piedi non solo grazie a regole videoludiche tutt’altro che innovative, ma anche grazie alle principali tecniche cinematografiche.
Dopotutto, l’uomo non riesce mai a staccarsi completamente da ciò che conosce. Tutte le arti sono influenzate le une dalle altre. Per quanto diverse, la composizione fotografica e quella pittorica rispettano tutta una serie di regole e canoni comuni.
Da quando è stato introdotto il comparto narrativo all’interno dei videogiochi, si è subito guardato al cinema per rendere visivamente appetibili le scene mostrate. E questa visione si è evoluta fino alla svolta, ovvero l’arrivo su PlayStation 4 di God Of War.
Unico nel suo genere
Cory Barlog e il suo team sono riusciti in qualcosa che sembrava impossibile o quasi fino a quel momento: creare un piano sequenza unico che seguisse tutte le vicende del gioco. Se nel cinema ci sono già stati esempi di questo tipo (però badate bene che in questi, ovviamente, sono presenti dei tagli, anche se a volte impercettibili), nel mondo videoludico è una novità assoluta. Questo perché i videogiochi necessitano di caricamenti che inevitabilmente interrompono la narrazione. Tuttavia, i tempi si sono rivelati abbastanza maturi da permettere a Sony Santa Monica di creare un gioco “senza caricamenti”. Di conseguenza, è stato possibile anche seguire con la camera i personaggi dall’inizio alla fine di God Of War, senza stacchi.
Se ci si pensa, è un risultato eclatante, molto più di qualunque panorama mozzafiato. Se poi aggiungiamo che God Of War presenta il comparto grafico migliore di sempre su console (prima dell’arrivo di Red Dead Redemption 2, per lo meno), una storia emozionante, ben scritta e magnificamente recitata, ecco lì che si viene a delineare il miglior gioco dell’anno.
Una sfida (quasi) impossibile
Bisogna anche ricordare che la sfida che si parava di fronte al team di Santa Monica era veramente immensa. Ritrovarsi a ripensare un brand come God Of War da zero, rivoluzionandone completamente il gameplay e lo stile non è cosa da poco. Potevano sbagliare sotto diversi punti di vista, ma sono riusciti ad eccellere anche nel gameplay, molto più complesso, furioso e brutale.
Poi God Of War riesce a battere Red Dead Redemption, anche se di poco, sotto il punto di vista emotivo ed espressivo. La storia di questo Kratos vecchio, stanco di lottare, in cerca di pace, caratterizza maggiormente un personaggio già di per sé eccellente. Inoltre, il fatto di voler proteggere Atreus da se stesso e dal suo passato negativo, così da non fargli commettere i suoi stessi errori, rende il tutto ancora più emotivamente carico.
Non che questo aspetto non si ritrovi anche nel gioco di Rockstar Games, ma in God Of War è espresso in modo più diretto e, soprattutto, lineare, cosa che in Red Dead non è possibile a causa del comparto open world che permette di scegliere quando continuare le avventure di Arthur Morgan, spezzandone inevitabilmente il ritmo.
God Of War rappresenta la maturità artistica di uno studio che ha dato molto all’industria videoludica, plasmando parte della sua storia. La destinazione finale di un viaggio, ma allo stesso tempo l’inizio di un’avvantura più grande.
Insomma, il nuovo God Of War è il vero fiore all’occhiello di questo 2018, nonostante siano usciti altri giganti decisamente stupefacenti. Primo tra tutti Red Dead Redemption 2, che si meriterebbe una menzione speciale per ciò che è riuscito a creare. Speriamo in un 2019 ancora più esaltante e in un 2020 di fuoco.
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