Uscito nel 2019, Terrace House Tokyo ha accolto nelle ultime settimane su Netflix la terza parte di questa edizione: scoprite con noi perché questo reality merita tutta la vostra attenzione.
Lo confesso, il mondo dei reality mi annoia mortalmente. Lontano oramai dal senso di spontaneità che caratterizzava i primi esperimenti, confinato da troppo tempo all’interno di becere scaramucce pilotate, personaggi discutibili ben oltre i confini del trash, oltre che scenario di alcuni dei momenti più imbarazzanti della televisione, questa forma di intrattenimento, almeno per il sottoscritto, non aveva davvero più alcun motivo per esistere. Fin quando non mi sono imbattuto, complice la bulimia da streaming causata dalla quarantena forzata, in Terrace House Tokyo. Si tratta di un format nipponico, in onda dal 2012, in cui 6 sconosciuti (3 ragazzi e 3 ragazze) si ritrovano a convivere all’interno di una splendida casa, messa loro a disposizione dalla produzione assieme a delle auto. Il Grande Fratello in salsa di soia? Assolutamente no, dato che i “concorrenti” non si ritrovano affatto segregati nell’abitazione, e possono continuare a condurre la loro vita di sempre, fatta di lavoro, svago e socialità, ma anche abbandonare liberamente il programma qualora non se la dovessero più sentire di parteciparvi. Nessun copione da seguire, nessuna sceneggiatura nascosta, solo uno sguardo estremamente ravvicinato sulle relazioni personali e le vite di sei giovani giapponesi, senza nessun intervento dall’esterno.
L’unica presenza aliena è costituita dai commentatori che, nel corso della puntata e senza avere nessun contatto diretto con i partecipanti, analizzano gli eventi avvenuti durante la settimana, dando origine a dei siparietti davvero spassosi, e non lesinando anche una certa dose di cattiveria. Capitanati dal popolare comico Ryota Yamasato e dalla ex idol You, il sestetto di voci fuori campo rappresenta un vero valore aggiunto per Terrace House Tokyo, offrendo anche uno spaccato di quello che è la maniera di intrattenere tipicamente giapponese, fatta di contrasti davvero marcati per uno spettatore occidentale: basta vedere il modo in cui argomenti considerati pruriginosi, come accenni sfacciati ed espliciti al sesso, vengono fatti senza alcun tipo problema, per poi cadere nel più totale imbarazzo alla vista di un innocente bacetto sulla guancia.
E sono proprio queste convenzioni sociali così lontane dalla nostra quotidianità a rappresentare uno dei maggiori punti di forza di Terrace House Tokyo, anche per il modo per noi alquanto anomalo con cui si dipanano le varie puntate delle tre parti (su quattro della stagione attualmente disponibile su Netflix (sulla piattaforma di streaming sono presenti anche le edizioni passate del programma): in questo particolare reality, difatti, tutto assume una dimensione decisamente più dilatata e rilassata, quasi zen se vogliamo, lontana dalla frenesia a tutti i costi a cui il genere ci ha oramai abituato. Non sono rari, difatti, lunghi momenti di silenzio, in cui i partecipanti al programma si studiano, in preda all’imbarazzo di un argomento di conversazione che stenta ad affiorare. Così come sono interessanti le dinamiche che portano i giovani ad avvicinarsi l’uno all’altro, con le evidenti difficoltà figlie di una società che, per certi versi, ostacola la facilità di approccio, a causa di imbarazzi per noi davvero difficili da comprendere: lo sfiorarsi di una mano, due sguardi che si incrociano, ma anche una semplice cena a due, rappresentano ostacoli quasi insormontabili laddove si iniziano ad intravedere spiragli sentimentali, rendendo così spietatamente reali situazioni ed emozioni che un osservatore occasionale della società nipponica potrebbe relegare esclusivamente alla finzione di manga ed anime.
Ed un simile aspetto è particolarmente evidente nella prima porzione di Terrace House Tokyo, complice un cast che sembra incarnare alla perfezione lo stereotipo del giapponese che simili produzioni ci hanno portato a conoscere, e che da vita alle puntate forse meno dinamiche, ma anche più fedeli a quella realtà che il genere vorrebbe ancora farci conoscere. La situazione cambia sensibilmente con l’avvicendarsi di nuovi coinquilini, e alla lieve internazionalizzazione del cast grazie all’introduzione di ragazzi provenienti da altre nazioni (ma che lavorano e risiedono stabilmente a Tokyo), capaci di dare vita a contrasti comportamentali socialmente ed umanamente interessanti. Senza, per fortuna, che tutto quanto finisca per degenerare in comportamenti beceri ed esagerati, dato che tutto rimane confinato all’interno di una compostezza ed una educazione che oramai pare sconosciuta alla televisione occidentale. È questo però il bello di Terrace House Tokyo, il suo voler davvero presentare la quotidianità di un gruppo di ragazzi che cercano di legare semplicemente tra loro, una routine che non deve per forza di cose essere caratterizzata da situazioni al limite o esternazioni esagerate. Una sorta di ritorno alle origini del genere, quasi una corroborante tazza di te verde, pronta a riscaldarci e confortarci.
Gamer cresciuto all'ombra del tubo catodico, sia in casa che in sala giochi, amante del Giappone in ogni sua forma, traduttore freelance e aspirante musicista non ancora pronto ad appendere lo strumento al chiodo. Dopo quasi un decennio trascorso a scrivere di videogiochi da semplice blogger, sono pronto ad intraprendere una nuova avventura editoriale.